Milano – Floriano Bodininasce a Gemonio nel 1933. La maturazione avviene a Milano negli anni del secondo dopoguerra. Segni e ferite del recente conflitto dettano la realtà. Bodini vive e interpreta il tessuto sociale evidenziando i patimenti della condizione umana. La realtà delle cose permea stato d’animo e interiorità.
Con un gruppo storico di compagni di percorso, Bodini è fautore del Realismo esistenziale. La biografia cita giustamente come suo insegnante a Brera Francesco Messina ma il maestro, per incoraggiamento, comprensione e rapporto intellettuale, fu Vitaliano Marchini.
Le prime prove, sofferte in una scarnificazione che rende l’esilità umana, sono lancinanti dichiarazioni di sensibilità. L’introspezione psicologica, volontà e capacità di leggere nell’animo oltre le fattezze del ritratto, si evidenzia dagli Anni ’50 ed è conclamata alla fine Anni ’60 con l’esecuzione di Ritratto di un Papa.
Non ancora quarantenne, Bodini è considerato talento internazionale ed è tra i più giovani artisti citati nei testi ufficiali e didattici.Si apre la ribalta europea, sino alla convocazione all’Università di Darmstadt, in Germania, per la cattedra di Scultura alla Facoltà di Architettura.
Bodini aveva letto le avanguardie storiche e assistito all’evoluzione del secondo Novecento. Ma ha sempre scelto se stesso. Con un percorso assolutamente personale, diritto, tenace, veloce. Come era il suo linguaggio fatto di immagini e sintesi, oppure come le sue visite nei Musei e Raccolte d’Arte, a passo sostenuto, rapidi sguardi di percezione già conclusa e infine una sosta di lettura là dove consisteva richiamo di necessità.
“Se non c’è storia non mi interessa”. Una frase come autoritratto. I suoi valori si annunciavano con immediata chiarezza: lavoro, famiglia, scuola ed essenza del monumento: il senso della storia nel fiume dell’umanità, testimonianza e radici nello scorrere del tutto. Immergersi nella scultura per scolpire tempo e storia.
Nonostante l’altitudine della meta, il male della retorica non l’ha mai afflitto. Nell’impostazione e nella realizzazione del lavoro, come nei tratti, nei modi, nell’incontro quotidiano, semmai irrituale, con la vita.
A un anno dalla scomparsa, forse un pensiero appropriato può consistere nell’augurio di assenza di ogni possibile retorica a futuro apportata da estranei: che il suo lavoro non debba subire l’inutile patina dell’addobbo ma viva di luce propria, come è sempre stato, limpida e forte per delineare l’orizzonte del tempo.