Il banchetto è lauto, degli eventi legati al 400° anniversario della Fabbrica del Rosario. Ovvero, più comunemente, del Sacro Monte di Varese (o meglio: sopra Varese), sorta di opera d’arte e di propaganda totale nata nel XVII secolo, germogliata dalla cattolica fede dei padri in terra confinante con gli eretici (i Protestanti), agguerriti al di là delle Alpi.
Se l’edificazione mirabile del percorso durò molti decenni a completarsi, non è da stupirsi che la sua celebrazione prenda un arco di almeno tre anni, per concludersi nel 2007. Il menu di quest’anno è assai ricco, secondo la legge che l’appetito vien mangiando, se si guarda ai 33 eventi dello scorso anno, delibati da oltre 12.000 fruitori. Il 33 ricorre nuovamente, involontariamente, nel programma. Questo è stato ufficialmente presentato il 14 luglio nel Salone Estense, alla presenza del Sindaco di Varese e degli altri partner istituzionali, dallo chef per eccellenza di tutto il magnifico progetto: Paolo Zanzi, titolare di un rinomato studio grafico in città.
L’ideatore e direttore artistico della rinascita spettacolare del Sacro Monte ha anticipato le prelibatezze culturali riservate ai pellegrini nuovi e antichi attirati da tale insperata abbondanza e varietà, nel segno della qualità. Così, nel solco del primo anno che tanto soddisfacente è stato, si avranno da qui all’autunno teatro di marca sacra, musica elevata, percorsi didattici nel borgo che non si erano mai visti. Insomma, ci aspettano esperienze elette, raffinate, ricercate.
Anche i nomi delle diverse pietanze si distinguono: “I titoli delle pietre, la devozione della storia”si riferisce al nuovo percorso didattico che nel cuore del Borgo medioevale proporrà le figure, sino ad oggi misteriose, dei maestri lapicidi Domenico e Lanfranco da Ligurno, autori di pezzi di scultura romanica appartenenti a un’epoca e a un’anima che rifiutava il concetto di autore.
Ma dopo gli ispirati interventi dei politici, degli amministratori, degli artisti coinvolti a diverso titolo nel calendario culturale davvero straordinario, attento a rispettare il carattere eminentemente religioso del Sacro Monte, una domanda sorge spontanea, da convitato pietrificato, nella terra lombarda così pratica ed economa: chi paga?
La cultura di alto livello, così come tutta codesta si pregusta, costa. Ma né nel rendiconto entusiasta della passata stagione, né di quella già avviata e che avrà di qui al primo autunno i piatti più forti, si sono detti (ma sicuramente si saranno fatti) i conti. E allora?
A costo di guastare il banchetto, abbiamo osato domandare, da commensali lieti ma accorti, i costi della fine tavolata. Forse alla persona sbagliata, al Zanzi Art Director, che non si è tirato indietro e alla fine, approssimando perché a memoria, ha fatto per il triennio di manifestazioni sacromontine la cifra di 350.000 Euro. Sono pochi? Sono tanti? E come ripartiti? Dove reperiti?
Alla tavola per valorizzare il Sacro Monte siedono in tanti: la Regione Lombardia, il Comune e la Provincia di Varese, la Fondazione Paolo VI, il Parco del Campo dei Fiori, la Parrocchia di Santa Maria del Monte, l’Associazione Amici del Sacro Monte, ma i mecenati più consistenti sarebbero la Regione e il Comune, con un 30% ciascuno e sfruttando la politica condivisa dell’identità territoriale, mentre la fondazione appunto costituita “per il Sacro Monte di Varese” provvederebbe al rimanente 40%, come la più interessata, per tutti i motivi, allo splendore della Fabbrica del Rosario.
Tra le quote così espresse, si intuisce che alcuni partner si sono seduti a banchetto alla chetichella, mentre sottende tutta la triennale abbuffata culturale una strategia di politica culturale dettata dalla Regione e tutta da chiarire nelle sue mire.
Il Sacro Monte è un gioiello inestimabile delle Prealpi varesine, entrato in compagnia dei suoi simili a far parte dei beni riconosciuti dall’UNESCO, curiosa leva per consolidare la coscienza di un patrimonio culturale. Per fortuna, Monsignor Pasquale Macchi, scomparso l’anno scorso, ha provveduto per tempo e con animo indefesso a conservare il viale delle cappelle, tesoro innanzitutto della Chiesa cattolica e dei fedeli, in anni in cui le pubbliche amministrazioni non erano così sensibili.
La memoria del prelato illuminato non può così non segnare i festeggiamenti del Quattrocentenario, ma a fronte della “Fabbrica degli eventi”, già consumata e da consumarsi, altri appetiti (alcuni antichi) si affacciano, che chiedono una risposta: che destino avrà il Museo Pogliaghi? E la cripta del Santuario, da decenni invisibile? La funicolare, così com’è stata riattata, funziona? Alla Prima Cappella, antipasto delicatissimo del Sacro Monte, era il caso di ristrutturare nel modo che è sotto gli occhi di tutti uno stabile goffo e presuntuoso, davvero indigesto?
Gli eventi, per quanto prelibati, passano. Gli interventi, si spera ponderati, restano. E’ vero che gli uni possono aprire la pista agli altri, d’accordo che l’eccellenza del luogo merita questo e altro. Ma l’immagine del territorio, su cui tanto s’investe, poco ha a che vedere con il calpestio delle pietre (senza titoli, senza nomi), tanto popolare fra i Varesini, ancora meno con la meditazione dei Misteri.