Rancate – Scapigliatura vuol dire, essenzialmente e dispiegatamente, Milano. Milano di razza e umore meneghino, vitale anche nella miseria, artisticamente generosa e laboriosa. Agli artisti cosiddetti “scapigliati”, scatenati in tutte le arti, si deve un rinnovamento culturale con molti limiti e molti meriti, tra il 1860 e il 1880.
“Nemo profeta in patria”, a livello espositivo la Scapigliatura trova rifugio in Svizzera, a Rancate, presso la Pinacoteca Cantonale “Giovanni Zust”, per fare il punto sugli studi e rivedere un buon numero di opere dei pittori Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni, dello scultore Giuseppe Grandi, unanimemente considerati le vette del movimento. Che movimento vero e proprio non fu, ma fece parlare di sé e rinnovò – questo è l'assunto scientifico dell'esposizione (e del relativo catalogo) – il linguaggio figurativo, perlomeno lombardo.
Tranquillo Cremona, scomparso quarantunenne, avvelenato dai suoi stessi colori, nella mostra ticinese la fa da padrone. Sua l'immagine suggestiva scelta a emblema della rassegna (I due cugini ,1870, concesso dalla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma), che si fregia invece di un titolo (Il segno della Scapigliatura)netto e perentorio, a dispetto del “sogno” che tanti quadri scapigliati paiono inseguire.
L'altro prodigio pittorico è sicuramente Daniele Ranzoni, ben rappresentato anche grazie a un prestito varesino: la sala “scapigliata” del castello di Masnago sarà orfana sino a dicembre del dipinto Ritratto di Margherita Villa, pervenuto a Varese nei primi anni '90 tramite il lascito di Luigi Villa. Si tratta di un'opera splendida del sensibilissimo pittore, a ben osservare assai diverso dal Cremona, pur nella comune ricerca di effetti luministici e di fuggevoli sentimenti.
Giuseppe Grandi, lo scultore nativo di Ganna e autore del celebre Monumento alle Cinque Giornate in Milano, è presente a Rancate con sculture sorprendenti, che ne confermano l'originalissimo linguaggio. Il bronzo Kaled al mattino del conflitto di Lara, dalla GAM di Milano, sta in piedi ma è tutto disassato e si propone in termini di linguaggio plastico sconcertante, a dispetto del tema letterario.
Una sezione dedicata alla tecnica dell'acquerello vorrebbe, con qualche fatica, accreditarlo a mezzo privilegiato della Scapigliatura, mentre si rivela una produzione tanto estemporanea quanto minore. Perché il lavorio sulla tela, sulla materia pittorica, degli Scapigliati, sta celato nel risultato ma è insistito e ricercato, svolto in studio, in condizioni esistenziali e professionali spesso precarie.
La mostra e soprattutto le congrue schede del catalogo hanno il merito di restituire il tessuto sociale e psicologico sottostante la Scapigliatura, la complicità nuova con i committenti, la comunanza di gusto, passioni, atteggiamento.
Se si giustifica la sezione di apertura, che affronta l'origine, accademica alla fin fine, della Scapigliatura, la sala superiore di Rancate ospita una pletora di dipinti milanesi e ticinesi riuniti quale “diffusione” della maniera scapigliata, ma ne sono spesso la stentata ripresa, anche perché il clima milanese, di cultura e di amicizia, si era concluso. E fa specie ritrovare Previati, Segantini, Gola, tra gli improbabili epigoni.
Discorso diverso e più pertinente per la scultura, che anche in mostra ritrova una linea da Grandi a Medardo Rosso attraverso Troubetzkoy ed Eugenio Pellini.
Forse la Scapigliatura lasciò più il segno nella scultura, la quale del resto ricercò effetti pittorici, rompendo la forma chiusa della statuaria. Ma se pensiamo al coevo Impressionismo, Parigi, che pure gli Scapigliati conoscevano e frequentavano, perché Milano in qualche modo si aggiornava, resta molto, molto lontana.