Antonia Campi, classe 1921, è un monumento vivente della ceramica del '900. Di ceppo valtellinese, si muove con passo lento e pondera ogni sguardo, diffida delle celebrazioni in genere ma si è prestata a presenziare alle iniziative di Laveno in onore dei 150 anni di produzione e invenzione ceramica sul Lago Maggiore.

Lo scorso 23 settembre, colei che ha diretto dal lato artistico negli anni '50 la Società Caramica Italiana, dedicandosi quindi al design ceramico e firmando pezzi e collezioni di grande originalità, esibiti in importanti musei del mondo, è stata insignita (era ora) della cittadinanza onoraria di Laveno ed a lei è toccato di togliere il telo a “Mosaico150”, il “muro” di piastrelle artistiche (245 in tutto, ciascuna 25×25 cm), installato a Cerro di Laveno, poco distante dal Museo civico dedicato alla ceramica.

Il Sindaco di Laveno Ercole Ielmini ha fatto da presentatore dell'evento, ricordando con emozione e rammarico Albino Reggiori, non abbastanza sostenuto negli anni in cui diresse con passione la Civica raccolta di Terraglia, che si fregia oggi anche dell'improbabile nome acquisito di “Museo Internazionale del Design Ceramico”.

Se tale prosopopea intendeva promuovere l'opera e la figura di Antonia Campi – discretamente rappresentata nelle collezioni di Palazzo Perabò – il carattere schivo e l'innata sobrietà dell'artista parrebbero contraddire e farsi beffe di tanta vanità. Di ben altro, c'è bisogno, per far conoscere e funzionare e amare un museo.

Antonia Campi ha dovuto dunque “subire”, da grande “orsa” paziente, pronta comunque alla zampata, il disvelamento del muro, ricevendo in omaggio l'esemplare numero 150 – tanto per cambiare – del Catalogo Paglia, repertorio di modelli della Società Ceramica Italiana riedito quest'anno, un volume pregevole sotto tutti i punti di vista.

In cambio, e a segnare con il suo linguaggio l'anniversario, la Campi ha realizzato un pezzo appositamente concepito per il Centocinquantesimo, indovinate in quanti esemplari?

Nel cortile e nelle sale di Palazzo Perabò è quindi proseguita la serata di festa e di esequie – in qualche modo – per la ceramica lavenese, tra lumi di candele, vini e pasta e fagioli generosamente offerti ai molti presenti.

Nel centro della nobile corte, attorno a un tavolino di amici, troneggiava con il suo peso artistico tutt'altro che femminile o decorativo – anzi quasi virile- lei, Antonia Campi, cui abbiamo posto alcune domande.

Signora Campi, lei si sente più scultrice o più ceramista?
"Scultrice. Ho studiato a Brera, nel corso di scultura di Messina, il quale ci diceva: la scultura è fatta di piani. Negli anni, non l'ho mai dimenticato".

La ceramica, riuscirà mai a liberarsi della “piastrella”? "Lei allude al muro or ora inaugurato…ma – e non lo dico per il mio lavoro – la ceramica italiana del '900 è stata una cosa enorme e per niente valorizzata. Abbiamo avuto, in Italia, dei ceramisti grandissimi…si spendono milioni di Euro per l'arte contemporanea, e si ignora il lavoro serio fatto dai ceramisti, che scontano il fatto di non avere un vero mercato, cosicché anche la critica non se ne cura, attratta da altri interessi".

C'è qualcosa che sogna ancora di realizzare, in ceramica? "Certo. Tutto quello a cui sto lavorando: finché ho vita ho ceramica. Quando muoio, muoio".

Che cosa si prova, ad essere in un museo?
"
Ho sempre amato moltissimo i musei, e mi ci trovo bene, soprattutto se non c'è troppa gente. Questo museo, ad esempio, è bello e necessario, va sostenuto in tutti i modi possibili".

Come artista, e artista donna, qual'è stata la più grande “resistenza” che ha dovuto affrontare?
"Nessuna. Sono stata più apprezzata di quanto potessi sperare, compresa questa giornata".

C'è da crederle: Antonia Campi appare soddisfatta, in modo parco, naturalmente, con il vino sorseggiato che un po' la sorprende e con lo sguardo che scruta intorno, perennemente concentrato.

Sotto quella scorza dalla dura tempra intuisci il magma della vita interiore e le auguri di campare altri 150 anni, dandoci ancora lezioni di stile e di applicazione, senza inutili decori.