Giovanni La Rosa è uno dei più seri e signorili artisti varesini, che opera nell'universo del segno con risultati di raffinata sugestione. Per i suoi 70 anni, si è concesso una mostra personale in città, ospite della galleria Ghiggini 1822. Da anni, La Rosa, siciliano di Caccamo, ma adottato da Varese ormai da una vita, c'è ma non si vede: lavora da certosino, continua con persevaranza il suo discorso,compare alle collettive delle associazioni cui aderisce, senza pretendere riconoscimenti o clamori attorno al suo nome e alla sua opera. Un'opera talmente "leggera", che di suo sfugge a molte etichette. Ora che ha fatto un'eccezione, lo abbiamo interpellato.
Il titolo "La mente – la mano – La Rosa" è molto suggestivo: com'è nato?
"Da un autoritratto di qualche anno fa, che comprendeva quei tre elementi. Poi, rende bene il mio modo di lavorare per sequenze".
Riassume dunque una metodologia operativa?
"Sì, credo ancora molto alla manualità, all'applicazione di procedimenti lenti, antichi. Ma mi muove il pensiero, amo molto l'ordine geometrico, la pulizia formale".
Ma dove sta la Sicilia in tutto questo?
"Sono profondamente siciliano, in questa dimensione astratta e mentale. Basti pensare ai mosaici di Monreale, traduzione materiale molto precisa di una realtà spirituale. E' ora di finirla con la retorica siciliana alla Guttuso…, la Sicilia tutta colore e fichi d'india".
Quanti lavori ci saranno in mostra?
"Una ventina, da me scelti per rappresentare i vari periodi della mia attività. Piccoli nuclei significativi della mia ricerca basata sul segno. Ho svolto una serie di lavori sui segni delle antiche civiltà, quasi un'archeologia del segno, mentre non ho mai smesso di riflettere sulle figure geometriche".
La Rosa, si è mai "lasciato andare"?
"Se intende se abbia mai usato il segno gestuale, direi di no, non mi appartiene. Esercito un forte controllo sul gesto, dopo un pomeriggio di lavoro mi sento stanco morto per la tensione".
E il colore? Che importanza ha?
"Non poca, a ben guardare. Ma sottile, lavoro su una base tonale, con colori ceramici e matite. Mi sento ancora un artigiano, alla fin fine, più che un'artista. Adopero il pennino tradizionale, che si fatica ormai a trovare".
Che ruolo ha avuto Ginetto Piatti?
"E' un amico di lunga data, e l'anno scorso mi ha fatto una sorpresa delle sue, proprio da Ghiggini, presentando, a mia insaputa, un libretto con le cartoline che gli spedivo tutti gli anni dalla Sicilia. Immagini del mio paese, Caccamo, senza pretese…ma il "perfido" Piatti ci ha messo del suo".
Che aria tira nell'Associazione dei Liberi Artisti, di cui fa parte?
"Buona, mi sembra. Le polemiche seguite alla mostra del Mirabello erano piuttosto pretestuose. Ora ne stiamo preparando un'altra, con piccoli lavori 25×25, quattro a testa, ideali per circolare e per essere acquistati. Bisogna adattarsi alle situazioni, l'associazione sta cercando nuovi modi per farsi conoscere sul territorio".
Che cosa manca, a Varese, per un salto di qualità nella cultura?
"E' un peccato, che ciascuna forma espressiva faccia vita a sè, dialogando poco. Mentre la vera cultura nasce dall'incontro, dallo scambio. Il problema è che manca un luogo fisico dove fare cultura in comune, senza pretese e grossi sforzi organizzativi".
Giovanni La Rosa parlerebbe ancora a lungo, con passione etica e civile per il suo lavoro, al di là della indiscutibile qualità estetica e formale delle sue opere. Che rivedremo con grande stupore e attenzione da Ghiggini, alla scoperta di un mondo segreto che sussurra armonie.
Giovanni La Rosa: La mente – La mano – La Rosa
17 febbraio – 10 marzo
Galleria Ghiggini 1822
Via Albuzzi 17 – Varese
orario: da martedì a sabato 10-12.30/16-19
info: 0332-284025
www.ghiggini.it