"Questo è stato un grande artista e forse in molti non lo hanno capito, anche in questa città", era il commento convinto e rammaricato di un appassionato d'arte varesino, frequentatore d'artisti, davanti alle Carte di Vittorio Tavernari, in mostra a Villa San Martino di Barasso, per le cure dell'amico Luigi Piatti.
Si potrebbe discutere sul fatto di essere stato compreso appieno nel corso dei suoi anni creativi. Certamente Tavernari non era artista per tutte le stagioni, legato al gusto, schiavo delle mode. Chi l'ha conosciuto da più vicino ne ricorda, anche nella personalità, tratti a volte bruschi, angolature forte, non malleabili.
Come la materia di cui è fatta la sua scultura, come il lavorio di cui sono segnati i suoi legni o i suoi cementi all'apogeo della sua ispirazione tra gli anni Cinquanta e i Sessanta, come sono fratti i disegni che, nell'arco di un cinquantennio, squadernano in questa mostra, il versante ancora meno noto, ma cruciale del suo periodare da scultore di nerbo.
Non è la prima volta che di Tavernari viene messo in luce questo aspetto: cominciò Ragghianti nel 1981 a sottolinearlo con una mostra double face, scultura e grafica a Lucca, nel 1981. Dieci anni dopo, postuma, toccò a Rolando Bellini ritornare sull'argomento ordinandone una mostra a Lugano. Da allora dovette diventare categorica la necessità di porre la lente su entrambi i piani del lavoro, fino all'antologica per il decennale della morte, nel 1997, quando vennero allestite contemporaneamente due distinte mostre: l'antologica di sculture al Castello di Masnago, una sorta di antologica di disegni e tempere, tutte provenienti dall'archivio di famiglia, in Sala Veratti a Varese.
Questa di Barasso, che segue altre mostre ancora, ha il pregio di squarciare il velo sulle carte nascoste, quelle acquistate, l'artista ancora in vita probabilmente, dai collezionisti più assidui. Ed il livello che ne consegue è di palpabile densità. Di emozionante vicinanza al cuore della sua vicenda d'artista, ai temi più cari, agli esiti più alti.
Con un nucleo centrale, che da solo vale la mostra: la serie degli Studi per Calvario su basamento a penna e acquerello di china collocati tra gli anni '62-65; il Crocifisso, tempera del 1967, le altre due tempere di Donne che si svestono, dello stesso giro di anni. Essenzialità e potenza che forse nemmeno la scultura riesce a conseguire.