Per il sindaco di Laveno Ercole Ielmini, "Albino Reggiori è qui tra noi, il suo spirito si sente ancora nelle sale di Palazzo Perabò, nei lavori che hanno fatto la storia del Museo della Terraglia". Per Gian Carlo BoJani, già amico di Reggiori e attuale direttore dei Musei Civici di Pesaro "il maestro è stato un punto di riferimento fondamentale per creare quella rete vitale e necessaria che negli anni trascorsi ha reso giustizia alla conoscenza di un'arte nobile come quella della ceramica".
E' cominciato così, tra ricordi e non poca commozione, tra rievocazioni personali e contestualizzazioni storiche intorno e sulla figura del grande artista lavenese scomparso lo scorso agosto, la mostra-omaggio che Cerro di Laveno e il suo museo hanno voluto regalare ad uno dei suoi figli più illustri; che quel museo ha fortemente traghettato dai suoi confini locali a dimensioni nazionali e forse anche oltre.
Grazie all'apporto della figlia Angela, il Museo Internazionale del Design Ceramico offre fino al 20 maggio una spettacolare rassegna del meglio della ceramica italiana; di quel tessuto, ricordato appunto da BoJani, che Reggiori puntellò di sapienza fabrile, cultura teorica, conoscenze estese, relazioni, curiosità, fino agli ultimi anni della sua vita quando molta della sua ardente passione cominciò ad affievolirsi, insieme alla salute e alla serenità.
Quindici le opere del maestro, tutte ugualmente importanti; e trentaquattro opere di altrettanto grandi interpreti del mestiere della terra cotta, modellata e smaltata: Alessio Tasca, Carlo Zauli, Nino Caruso, Pino Castagna, Giuseppe Lucietti, Pompeo Pianezzola, Angelo Biancini, Renzo Igne, Nicola Mileti, Salvatore Cipolla, per citarne solo alcuni. E poi i classici, anche quelli che più sono stati e sono legati alle vicende produttive e culturali di casa nostra e più da presso all'esperienza umana e professionale di Albino e della famiglia Reggiori: Antonia Campi, Marco Costantini, Oreste Quattrini, Giorgio Robustelli.
"Stare al museo con arte" è il senso ultimo di questo ricordo dentro quello che è stato per molti anni il suo museo, per Reggiori. Reggiori non era un direttore col "patentino", naturalmente, di carta e penna. Ma di passione e competenza. Quella passione che l'ha portato a superare pervicacemente l'abbastanza odiosa divisione crociana tra idealismo e tecnica, pensiero e manualità.
Quella manualità di cui l'esperienza tattile, concreta, del ceramista è una delle massime espressioni. Stare al museo con arte diventa allora veramente l'abbrivio giusto; così come insistere, come ha fatto Bojani in catalogo, nel ricordare altri meriti di Reggiori. Per esempio l'aver incoraggiato le prima edizione delle memorabili Biennali Terra&Terra, affidate all'allora giovane critico militante Flaminio Gualdoni. Un titolo duro, insistito, così fortemente ancorato alla materialità e all'origine dell'opera d'arte.
I pezzi in mostra oggi in questo splendido, rinnovato museo di Palazzo Perabò, riportato ad un suo orgoglioso fasto, scavando nella propria memoria, e investendo nel proprio futuro – fanno mostra di sé adesso i nuovi presidi per la sicurezza, telecamere, i sistemi di allarme – sono il frutto di una lunga storia che tra origine anche da quelle scelte di coraggio lontane. Oggi che, anche le scuole dalle migliori tradizioni, quella di Urbino, ad esempio, si avviano tristemente a chiudere i battenti.