Allarme rosso – Nel 1992 il Museo delle Terraglie di Cerro vantava qualcosa come 5500 visitatori all'anno. Tre anni dopo finiva l'epoca della 'reggenza' di Albino Reggiori. E' in quel punto che il rapporto tra l'istituzione e la comunità si incrina. Lo dicono le cifre. Nel 2005, i visitatori annuali non superavano le 1300 unità, sull'onda di un trend in progressiva, costante diminuzione di afflusso. Nel frattempo, l'interregno della signora Peteani e l'epoca di Marcello Morandini, l'apertura internazionale, anche nella nuova denominazione, un nuovo logo, una gestione meno "lavenese"; dopo di lui, è subentrato successivamente nel 2006 l'attuale presidente, Renata Castelli. E' stata lei a far scattare l'allarme. Allarme rosso.
L'appello agli esperti – Il Museo Internazionale del Design Ceramico è a un bivio. Continuare il suo "splendido isolamento" o virare definitivamente verso il terzo millennio con tutti gli sforzi che il cambio di rotta comporta. E non bastano più, o solo, la disponibilità, la buona volontà di chi vi ci si dedica, anima e corpo quasi volontariamente, a cominciare dalla stessa Castelli. "Servono progetti seri, un quadro di indicazioni precise – ha pensato il presidente d'accordo con il sindaco Ielmini – una traccia da seguire. Dobbiamo trovare il prodotto da comunicare". Così è nato l'incarico affidato a due specialisti del settore, gli architetti Giacomo Rizzi e Pier Paride Vidari, membri del Consorzio Poli.Design del Politecnico di Milano e docenti presso lo stesso ateneo.
La rinascita e la denuncia – Il loro compito: studiare le contromosse, evidenziare le lacune attuali del museo, capire le ragioni del suo scarso appeal, nonostante il ricco passato e le potenzialità del presente. Identificare in un quadro ampio di proposte, tutte vagliate sulla base di importanti esempi nazionali ed internazionali, quali i passi da compiere, dall'immediato al più generale. Il risultato della loro ricerca è stata presentato, davanti a pubblico di affezionati locali, giornalisti e di autorità lavenesi, proprio all'interno del Museo di Cerro. Per un incontro di rinascita del museo e anche di denuncia. Quanto alla rinascita, è un augurio che non si può non fare. La denuncia dello stato dell'arte, con il sorriso sulle labbra, quella è stata impietosa.
Isolato – Cerro non comunica. Questo il dato di fondo emerso dall'analisi e dal volume che raccoglie dati esistenti e proposte operative. Non comunica, o comunica poco all'interno della sua stessa area specifica ed è assolutamente assente da un network, pur se visto in scala regionale. La nuova dizione morandiniana incespica in quell'aggettivo internazionale che contraddice i suoi attuali orizzonti, ma soprattutto si condensa in un acronimo, MIDC, che mortifica la sua stessa vendibilità. Così come il logo, più idoneo ad una società di navigazione che ad un museo. Museo di grande storia, ma assente dalle bacheche informative della stazione locale, così come nell'hub di Malpensa. Senza una segnaletica efficace fuori e dentro i confini del comune di appartenenza. Ancora lontano dall'essersi dato una identità precisa sul web, così come una immagine coordinata da offrire ai tour operator. La frase più ricorrente: "Un museo può non avere una collezione, ma deve avere la comunicazione".
Il coraggio dell'amministrazione – Può sembrare l'uovo di Colombo. Va dato invece dato atto al coraggio dell'amministrazione e di Renata Castelli di essersi fatti "mettere a nudo" – lezione che dovrebbero seguire molti altri musei del territorio – nella convinzione che occorra credere nell'investimento culturale, occorra pensare in grande, anche se poi l'azione concreta segna il passo. Che, tuttavia, è una responsabilità etica e morale fare il possibile per tutelare il patrimonio che i musei rappresentano.
Un disegno etico – Trecentomila euro annui. Su queste cifre, secondo Giacomo Rizzi, potrebbe aggirarsi il costo di un ottimo progetto di consolidamento e di rilancio del museo, che tenga conto dei costi ordinari per la struttura, il personale e una efficace comunicazione. Cifre che a mente fredda appaiono impensabili per qualsiasi amministrazione, se non in caso di intervento di sponsor esterni."Conservare e sviluppare un museo – hanno concordato Pier Paride Vidari, architetto ed esperto museografo internazionale e Ielmini – è un disegno etico di preservazione della memoria". "Il museo, poi – ha ulteriormente rimarcato Vidari – è come una succursale della scuola, ha implicito un livello culturale altissimo".
L'oggetto principe – Da qui le proposte operative: che vanno dalla teoria nuda e cruda del marketing – rinnovare il logo, la segnaletica, la collocazione fisica intorno al museo di segnali forti della sua presenza, sfruttare a dovere la posizione strategica di Laveno, terra di passaggio ferroviario e lacustre – a nozioni di museografia vera e propria: aumentare l'offerta della didattica, ringiovanire l'allestimento, predisporre eventi anche di natura mediatica differente, valorizzare i propri documenti artistici principali, trasformandoli in vere icone da veicolare per il mondo. Anche Cerro ne possiede: il Vaso Spertini, per esempio.
Ed ancora: i restauri leggeri, gli adeguamenti normativi, peraltro già in corso. La catalogazione, il riconoscimento museale della Regione Lombardia – irraggiungibile fintanto che l'organigramma resterà quello attuale – la messa in rete con altri musei della Provincia. I due esperti hanno dato indicazione anche sulle mostre temporanee. Una in particolare: quella già decisa, dedicata al Design Ceramico per il prossimo autunno, alla quale collaboreranno "senza ulteriori oneri per l'Amministrazione".
Da esportazione – L'accenno alle mostre è quasi di sfuggita. Ed è, forse, l'aspetto più sorprendente di questa spregiudicata, lucida analisi, in tempi di "grandi mostre" e grandi eventi. E' il museo che deve vendere se stesso prima ancora che il suo contenuto. Qui è lo strappo compiuto da Laveno oggi: superare di un balzo forse troppo statiche concezioni romantiche del proprio luogo culturale per eccellenza; rivoltarlo, almeno nominalmente, e prospettarlo diverso, più penetrante e funzionante. Nostalgici o puristi probabilmente storceranno il naso. Ma se l'America ha esportato il marchio Guggenheim in tutto il mondo e se anche il Louvre sta sbarcando ad Abu Dhabi, non ci stracceremo certo le vesti se il MICD diventasse, un domani, un po' più scientifico e, perchè no, un po' più glamour.