"Monsignor Ravasi e il Museo Pogliaghi: una questione di lontananza. Come si dice: lontano dagli occhi, lontano dal cuore". Per Silvano Colombo, la nomina recente di Gianfranco Ravasi, finora prefetto della Veneranda Biblioteca Ambrosiana, quale presidente delle Pontificie Commissioni per i beni culturali della Chiesa e di archeologia sacra, con dignità di arcivescovo, non è una sorpresa. "Persona affascinante, dottissima, di enorme e sottile erudizione e magnifico divulgatore", dice di lui lo storico dell'arte che ha avuto il pregio di una prefazione del futuro ministro della cultura del Vaticano su un suo libro dedicato a Caravaggio.
In qualità di massima autorità della Biblioteca Ambrosiana, incarico che ricoperto fin dal 1989, Monsignor Ravasi ha avuto tra le sue nutrite incombenze anche l'affaire Pogliaghi e il suo museo. L'ex direttore dei Musei Civici, in qualità di presidente della Fondazione Pogliaghi, ha avuto modo di intrecciare rapporti con l'alto prelato e non soltanto per motivi varesini.
"Fui incaricato da Monsignor Rampi, che ai tempi era ancora il diretto superiore di Ravasi, di occuparmi del riallestimento della Pinacoteca Ambrosiana", ricorda Colombo. "E già allora era abbastanza chiaro che i fondi in dotazione alla Veneranda Biblioteca, da cui dipendeva anche la gestione del Museo Pogliaghi, per volontà dei vertici dovessero essere tutti destinati a Milano. E questa è un po' la linea seguita negli anni successivi".
Anche negli anni 'd'oro' di Monsignor Macchi?
"A Monsignor Macchi feci chiaramente un discorso: «non sarebbe sensato che ci fosse un accordo tra la Veneranda Biblioteca e la Fondazione Sacro Monte, includendo il museo Pogliaghi e il museo Baroffio, con un fondo comune, una gestione unitaria?». Monsignor Macchi era sostanzialmente d'accordo su questa idea tutto sommato banale, ma ogni volta si rammaricava: «A Milano – diceva – io non riesco a schiodare niente». E questo nonostante il grande potere di Macchi".
In sintesi: Monsignor Ravasi, amante dei libri e della cultura, ma con un certo distacco dalla questione Pogliaghi?
"Sul piano amministrativo, forse si. E' difficile peraltro concepire l'amministrazione di un bene quando farlo significa quasi esclusivamente metterci soldi. D'altra parte, si pensava anche che la vecchia custode, la signora Grignola Favini, fosse immortale. Invece è scomparsa anche lei ma nessuno ha mai pensato di sostituirne la figura, una persona con la stessa cura e lo stesso amore verso il luogo".
Come si spiega?
"Si spiega penso così: per quest'uomo affascinante, di enorme cultura, il ruolo e la responsabilità del divulgatore della fede e del patrimonio borromaico era troppo centrale cruciale nella sua attività. Il Museo Pogliaghi rimaneva defilato, lontano dagli occhi e forse dalle sue migliori attenzioni".
Eppure anche in questi anni Monsignor Ravasi ha avuto delegati, ultimo Monsignor Navoni, a prendersi cura della questione Pogliaghi.
"Vale lo stesso discorso. Anche Monsignor Navoni ha davanti a sé tanti altri compiti, ruoli e mansioni. Sono persuaso che ad occuparsi della questione debba essere un laico, con le giuste coperture naturalmente, anche economiche. Ma sappiamo che non era facile nemmeno per Monsignor Ravasi trovare fondi per i suoi progetti culturali. Una delle sue 'lamentazioni' era proprio questa.«I milanesi – sosteneva – hanno più attenzioni per il Poldi Pezzoli che per la grande eredità di Federico Borromeo». Ecco, Ravasi ha sicuramente incarnato lo stesso ardore intellettuale e religioso di Federico, senza riuscire ad essere Federico in tutto".