La compagnia – Aricò, Bertini, Dangelo, Iacchetti, La Pietra, Raciti, Scanavino, Vago, Vedova; sono solo alcuni tra i compagni di strada che Domenico D'Oora trova nella mostra inaugurale della nuova sede della Galleria Artestudio in via della Moscova a Milano.
Compagnia 'alta' che aggiunge ulteriori tasselli prestigiosi al procedere di questo nostro silenzioso e appartato artista della pittura minimale, lirica e senza concessioni.
Oggettività – Entra, D'Oora, così nel clima di quello che fu lo storico Gruppo del Cenobio, fondato nel 1962 da Agostino Ferrari, Ugo La Pietra, Ettore Sordini, Angelo Verga e Arturo Vermi, di cui Artestudio conserva l'archivio, e di cui si propone come continuatore ideale: di quell'idea di rifondazione del linguaggio, al cominciare proprio dei Sessanta, superata la sbornia dell'informale, della gestualità, basato su una nuova, meno espansiva oggettività.
L'indagine percettiva – Con la mostra attuale, si conferma quella che è fin dalle recenti origini, 1992, la linea dello spazio espositivo: coniugare la tradizione dei maestri già di lungo corso, con artisti di più recenti generazioni. Selezionati non solo e non tanto in base a criteri mercantili, quanto a punti di vista e a pratiche sull'arte che facciano il punto sul continuum di quella scelta che rifiuta la pittura come narrazione di fatti e cose, privilegiandone piuttosto l'indagine percettiva ed emozionale.
Di famiglia – D'Oora, che di questo campo è stato anche teorico e divulgatore – basti pensare alle numerose e selezionate mostre che ha curato – appartiene di diritto a quel genere: un artista autoriflessivo e riflessivo, attento alla processualità del fare, alla processualità del percepire la sua pittura satura: attenta, monocroma e sensibile alle vibrazioni. Sospesa eppure di immediata evidenza.