Nei piani – Una Biennale d'arte sacra a Varese; l'obiettivo era scritto già nel programma di governo della giunta Fontana. Non desta, dunque, particolari sorprese l'annuncio recente di un progetto che punti proprio a questo tipo di rassegna; per carità, non un unicum "senza confronti nel pianeta" come è stato scritto – solo in Italia se ne svolgono tra Teramo, in testa, Pistoia e una moltitudine di città, promosse da enti pubblici, privati, ecclesiastici, in numero consistente. Legato, questa sembra essere la volontà qui a Varese, ad una nuova ridefinizione attrattiva del Sacro Monte.
Idea marziana? – E proprio il Sacro Monte induce a fare una riflessione su questo disegno politico-culturale. Qual è il senso di un progetto di tale portata, di tale investimento non solo economico ma anche di idee e di energie per Varese. E cosa potrebbe far ritenere che questa possa essere tra le tante possibili una scelta giusta, duratura, capace di lumeggiare Varese di una sua specificità? Il link al Sacro Monte certo, ma siamo sicuri che basti e che non sia una delle tante idee marziane che ci è toccato sentire da tempo a questa parte?
L'eredità di Monsignor Macchi – Vale la pena allora di riandare all'esperienza pastorale e di mecenate di Don Pasquale Macchi e del suo importante lascito di opere d'arte, peraltro già abbondantemente diviso in diversi rivoli: quello bresciano, per dire, confluito nell'Istituto Paolo VI che ha a sua volta promosso l'Associazione Arte e Spiritualità con l'intento proprio di catalogare e conservare il patrimonio esposto nel relativo museo a Brescia ora in fase di allargamento in una nuova più capiente sede.
Il mistero della raccolta – C'è poi il fondamentale fondo che fa da colonna portante al Museo Baroffio, il cui 90% del patrimonio esposto viene proprio dall'eredità di Monsignore. Ma c'è tra altri possibili lasciti anche una importante raccolta intestata alla Fondazione Paolo VI varesina di cui tutt'oggi non è chiara l'entità e la qualità. Chi ha avuto modo di vederne una parziale descrizione dà conto della presenza di opere degli amici di Macchi: Bodini e Guttuso, di Carpi, di Cantatore e di molti altri, forse non all'altezza della raccolta bresciana che allinea tra gli altri Sironi, Morandi, De Chirico, Fiume, Casorati, Manzù, Greci, Giacometti, così come Chagall, Hookney, Kokoschka, Dalì, Heckel, Schmidt e Beckmann.
L'ancoraggio ad una presenza – Di sicuro in tempi anche recenti la Fondazione Paolo VI ha saggiato la disponibilità del comune per un eventuale utilizzo di Castello Manfredi come sede possibile della collezione attualmente conservata in deposito. Ecco, tirando le fila. Il progetto di una Biennale d'arte sacra a Varese potrebbe avere un respiro, una vita, un senso ulteriore se ancorata in maniera stabile a quel tipo di collezione pubblicamente presente e disponibile alla comunità. A quel tipo di rimando, a quella presenza fondamentale come fu quella di Pasquale Macchi, il segretario di quel Papa che, forse unico, si rivolse agli artisti con una precisa preghiera: "parlare e rendere accessibile e commovente il mondo dello spirito, dell'invisibile, dell'ineffabile, di Dio…".