Il mondo in crisi – Che anno quell'anno. Che anno quel '68. Luther King e Bob Kennedy assassinati, il Vietnam esplode, Praga invasa dai sovietici, i pugni sollevati dai velocisti americani alle Olimpiadi del Messico, il maggio parigino, Valle Giulia a Roma, il terremoto del Belice. Violenze, gesti simbolici, calamità naturali che accadono ciclicamente, ogni anno anzi, ma che in quel giro di mesi, assumono un significato del tutto particolare. Accadono in un mondo che entra in crisi, al culmine di un decennio che travolge le consuetudini, i principi, l'ordine costituito, che spalanca nuove parole d'ordine e già si ripiega su se stesso.
La parabola della summer of love – Chi più dei Beatles riassume in sé questo destino bifronte, questa inizio dentro la fine, questa favolosa parabola che dalla summer of love, dal mondo incantato e disinibito della Pepperlandia comincia a sentire le prime inquietudini, ad avvertire l'allaergamento delle crepe nel proprio edificio e nel proprio universo ostinatamente costruito attorno? La mostra Beatles e il '68, allestita allo Spazio Oberdan, promossa dalla Provincia di Milano e curata da Umberto Buttafava e da Enzo Gentile, è un viaggio attraverso quell'anno, la cui colonna sonora, più ancora che Stones o Hendrix, era All you need is love, Strawberry fields forever; era A day in the life, era l'inno del tricheco e già cominciava a ripiegarsi toni e timbri mai uditi fino ad allora, quelli di Helter Skelter o della cacofonica Revolution n.9. L'anno che i quattro favolosi attraversano mentre intorno succede di tutto; ma anche a loro, infine, qualche cosa accade.
La wunderkammer – Una stupefacente quantità di memorabilia, quasi una wunderkammer beatlesiana, accompagna il percorso dalle origini del fenomeno degli Scarafaggi fino all'apoteosi del 1968. Memorabilia che neanche al Beatles Museum di Liverpool. Merito dell'avvocato Buttafava, collezionista con i Beatles nel cuore. Di loro tutto ha collezionato: vinili, gadget, biglietti, copertine, acetati, poster, cartoline, giornali, raccolti in anni di frequentazione in presa diretta di quel materiale o acquisito all'asta successivamente. Enzo Gentile, giornalista e critico musicale, ci ha messo il saggio che contestualizza musicalmente e non solo quell'anno; altri nomi, in catalogo, omaggiano i quattro. Da Alberto Fortis a Beppe Carletti dei Nomadi, Altan, Mick Hucknall.
Ognuno per conto suo – In mostra, pannelli illustrativi, oltre a snoccialare le impressionanti cifre che accompagnano la carriera dei Baronetti, mettono a confronto quello che accade alla loro carriera, nel coevo panorama musicale, della cronaca, della grande Storia. Limitandoci a loro: escono dal successo planetario di Sergent Pepper, ad inizio anno si avvicinano prima di altri all'India, divenendo l'icona pop funzionale al 'reclutamento' del vecchio Maharishi Mahesh Yogi. Il viaggio per metà è un fallimento, ma da lì muovono le canzoni per il futuro White Album. Mettono mano al progetto, fallimentare, del negozio Apple, ultima
strascico del flower power; mettono mano ad un vorticoso progetto musicale che farà a suo modo epoca, Yellow Submarine; ma intanto, quando si trovano per registrare il leggendario Album Bianco, ognuno è già per conto suo. John, in particolare, è con Yoko Ono.
Canto e disincanto – E mentre fuori la ribellione dei figli, così come il sogno di Praga, vengono o repressi o si indirizzano verso derive pericolose, i quattro favolosi ragazzi crescono, conoscendo, a loro volta, le prime intolleranze reciproche, i rancori, le gelosie, quasi da un lungo amore tradito. Siamo ancora lontani dal ruggente atto d'accusa di John verso Paul, inscritto come nella pietra nella celebre How do you sleep at night, di qualche anno dopo, ma i versi di quella canzone nascevano in quei giorni.
Questo a posteriori, conoscendo la fine della storia. Ma dentro la mostra, avvolti in quella favolosa soundtrack, la sensazione è che, davvero, il coro di All you need is love sia ancora credibile.