Stefano Margutti (classe 1983, Milano) ha conseguito, col massimo dei voti, la Laurea Specialistica in Storia dell'Architettura presso l'Università Cattolica di Milano (anno accademico 2006-2007), discutendo una ricerca su alcuni disegni del Fondo Bianconi di Milano. Ad Artevarese racconta il suo studio di qualche anno fa incentrato sulla figura di Giuseppe Bernasconi.
Quali sono i punti principali attorno ai quali si è sviluppata la tua ricerca?
"Nella mia Tesi Triennale, discussa con il Prof. Alessandro Rovetta, sono partito dai principali documenti degli archivi di Milano e Varese e dagli studi di Luigi Zanzi e Silvano Colombo. Mi sono maggiormente concentrato sul ruolo di Giuseppe Bernasconi al Sacro Monte di Varese, sui suoi modelli e riferimenti stilistici, sul clima artistico respirato nella Milano del tempo. Il lavoro prende principalmente in considerazione questioni riferibili ad alcune soluzioni e invenzioni costruttive, all'architettura e al rapporto di questa con il paesaggio, pur consapevole che la grande mancanza del "caso Bernasconi" sono i disegni non ancora rinvenuti. Luigi Zanzi ha opportunamente definito questa annosa ricerca, una venatio difficile".
Quali sono i principali riferimenti che sei riuscito a rintracciare nell'opera del Bernasconi al Sacro Monte di Varese?
"Bisogna innanzitutto riconoscergli un'originalità e un'autonomia di concezione architettonica che sa nel contempo aggiornarsi e attingere da altri grandi maestri. L'analisi dei monumenti, per ricercare e comprendere i riferimenti culturali e visivi del Mancino, è il lavoro che mi ha appassionato di più. Mi sembra che siano significativi alcuni confronti con piante, soluzioni ed elementi architettonici presenti in alcuni edifici di Milano come la Rotonda di S. Sebastiano, S. Carlo al Lazzaretto, S. Fedele, Palazzo dei Giureconsulti. Talvolta si tratta di tangenze e spunti generali per la realizzazione delle cappelle, altre volte di citazioni più puntuali. Giuseppe Bernasconi ama le piante composite, rimedita gli ordini classici secondo differenti adattamenti e fa riferimento alla scuola d'architettura della Milano dei Borromeo. Reinterpreta alcuni grandi modelli quali Martino Bassi, Pellegrino Tibaldi e molto probabilmente guarda il "Libro dei Misteri" di Galeazzo Alessi, soprattutto per confrontarsi con il tema degli edifici di culto di dimensioni contenute".
Per tracciare il profilo del Mancino, quali sentieri di ricerca hai maggiormente considerato?
"La ricostruzione biografica emerge da alcuni recenti studi e tesi del Politecnico di Milano e, principalmente, dallo spoglio della documentazione rogata a Varese e Milano tra la fine del Cinquecento e il terzo decennio del Seicento, documentazione ampiamente esplorata da Silvano Colombo. Giuseppe Bernasconi, figlio di Francesco, nasce probabilmente a Varese tra il 1560 e il 1565. Resta ancora tutta da indagare la sua formazione giovanile nel campo delle arti, che ancora oggi è attestata all'affermazione che lo vuole intagliatore ligneo come il fratello".
Un argomento impegnativo e aperto a nuovi approfondimenti
"Sì, l'opera architettonica del Sacro Monte è argomento insieme complesso ed affascinante. In quasi quarant'anni di attività, tra 1591 e 1628, il Mancino appare come un protagonista chiave in quel preciso momento storico-culturale e in quel particolare contesto geografico, un protagonista dotato di grande versatilità. Molti importanti interventi portano la sua firma, come nel caso del Sant'Antonio alla Motta, del monastero femminile di Sant'Antonino a Masnago e di alcuni lavori per residenze private a Varese e Biumo. Quando ho discusso la Tesi Triennale, non erano stati ancora pubblicati gli atti del convegno del 2005 di Villa Recalcati e una volta che li ho letti, ho constatato i progressi e le scoperte inedite degli ultimi anni sulla figura artistica del Mancino".