Visibilmente stanca, Anna Bernardini sta per concludere l'ultimo rush finale prima dell'inaugurazione. La mostra "Giorgio Morandi. Collezionisti e amici", segna una tappa importante da quando detiene le redini di Villa Panza in qualità di responsabile scientifico e organizzativo dello spazio espositivo e museale donato dal Conte al Fai nel 1996. La prima mostra di cui porti per intero la firma di curatrice.
Anna Bernardini, perchè oggi la prima mostra a sua cura e perché proprio Morandi?
"E' a cura mia perché in effetti è la prima che sia stata pensata, progettata, seguita da me e da quanti poi hanno collaborato alla riuscita del progetto, Flavio Fergonzi, in particolare. Altre mostre in passato sono state seguite da me, ma nello specifico, c'erano altri curatori assolutamente di alto livello".
E la scelta di Morandi?
"Tutto nasce dal rapporto ormai avviato con il Mart di Trento e Rovereto. Il primo museo cui il conte Panza ha affidato parte della sua collezione, nello stesso anno in cui tra l'altro affidava alle cure del Fai la propria villa. Morandi, in particolare, è artista ben presente nei depositi del Museo trentino, grazie ad alcuni importanti depositi a lungo termine di alcuni tra i più prestigiosi collezionisti italiani del dopoguerra. E, ancora, Morandi rappresenta un caso emblematico di rapporto stretto tra artista e i propri collezionisti. Aspetti questi che giocano un ruolo fondamentale nel progetto che abbiamo sottoscritto con il Mart: la valorizzazione delle collezioni private, il ruolo del collezionismo e la sua destinazione pubblica. C'è un filo rosso tra questa impostazione e la natura della villa di Biumo che ospita la mostra".
Quanto vi ha impegnato, in termini di tempo e di costi, la preparazione della mostra?
In termini di costi, circa 150 mila euro, con un sostegno davvero importante della Protezione Civile, nell'ambito dell'impegno assunto per i Mondiali di ciclismo. Il lavoro di ricerca delle opere, a parte quelle di nota ubicazione, e tutto ciò che comporta una mostra di questo tipo, ci ha impegnati diversi mesi".
Quanto sono i Morandi non 'pubblici', arrivati a Villa Panza?
"Complessivamente 19 vengono dalle raccolta Giovanardi e Ferro del Mart; due dalla Pinacoteca di Brera, due dalla Civiche Raccolte d'Arte di Milano, tre dalla Telecom, ex collezione Olivetti. Gli altri sono di collezionisti privati, spesso da lungo tempo, non visti – come il Vaso di fiori, del 1920, già di collezione Vitali, e alcuni provenienti da alcune delle principali racconte di amici e collezionisti del pittore, nel frattempo disperse in vari canali. Un lavoro di ricerca per il quale è stato fondamentale il Catalogo Generale redatto dallo stesso Lamberto Vitali nel 1977".
Il pregio della mostra?
"E' un pregio abbinato agli studi compiuti da Flavio Bergonzi e riportati nel suo intervento in catalogo: offrire la possibilità valutare la precocità del collezionismo morandiano, soprattutto in area lombarda, prima ancora che la critica ufficiale ne stagliasse nitidamente il valore. Parliamo degli anni Venti e Trenta, appunto, quando Morandi era già già stimato dagli amici pittori e letterati, aveva già un suo corso negli Stati Uniti, ma in Italia, tranne rare occasioni non era ancora troppo noto alla critica ufficiale. Per dire: Longhi lo scopre solo nel 1940".
Come si spiega questa situazione?
"Si può spiegare come una sorta di virus, di virus vitale però, che contagia un ristretto gruppo di intelligenti e lungimiranti appassionati d'arte. La cui lungimiranza, ripeto, è confermata in molti casi dal fatto di aver preservato la propria collezione donandola alla fruibililità pubblica".
Villa Panza si divide tra mostre storiche e appuntamenti consolidati con l'arte statunitense, l'arte di Panza. Qual è il pensiero di Giuseppe Panza nei confronti di questa scelta morandiana?
"Positiva, pur non avendo visto ancora le opere esposte ma solo le immagini. C'è un aspetto che va sottolineato. Morandi ha avuto fortuna in America, come dicevo, e non è raro che i maestri americani lo conoscessero. E molti artisti amati da Panza, Lawrence Carroll o Stuarrt Arends in particolare, amano tuttora la pittura di Morandi e ne richiamano per molti aspetti alcuni sue declinazioni poetiche".
In particolare?
"Basti pensare all'analogia tra Morandi e Carroll nel predisporsi da sé tutto l'occorrente per il lavoro, dalle tele agli impasti di colore. O a quei valori intimisti che affiorano in entrambi gli artisti".
Da chi è stato ispirato Morandi?
"Ispirazione primaria è il quattrocento fiorentino. Ma agli esordi non si può non vedere il flusso della pittura di Cézanne".
Il ruolo attuale del pittore?
"Dal punto di vista del mercato uno dei più agognati e con valutazioni tra le più importanti. Dal punto di vista della sua eredità, mi risulta difficile dirlo. Credo che le nuove generazioni, anche quelle che nel corso degli ultimi decenni non hanno praticato la figurazione tradizionale, lo sentano in qualche modo non lontano da sé. Non dimentichiamoci che Morandi ottenne nel 1957 il premio di pittura alla Bienal de Arte di San Paolo. In quella occasione era già presente la schiera degli Informali. Il premio era dunque un segnale. Attenzione, questa è pittura moderna, non lontano dall'astrazione e dalla valenza del gesto".
Il criterio con cui le opere sono stare disposte?
"Abbiamo scelto un percorso prevalentemente cronologico e tematico. Spesso anche avvicinando opere affini per qualità dell'impasto e della materia".
Come si sente? Emozionata?
"Soprattutto stanca, non particolarmente emozionata. Fortunata per aver l'occasione di presentare una mostra di questo tipo".