Questa plaquette di poesie (Memoriae, Poesie giovanili 1941-1946, Nomos Edizioni, 2008), di Este Milani imprenditore ed erudito bustocco da poco scomparso ci restituiscono un personaggio che la retorica delle piccole patrie rischiava di confinare all'immagine pietrificata del monumento cittadino.
Milani, come accade a pochi fortunati, sapeva stabilire relazioni tra mondi contigui cui solo la soffocante camicia di forza dello specialismo riesce a fare da guardia di confine.
Quando uno di questi fortunati si affaccia sulla scena della vita viene ridotto a simbolo, viene considerato non un uomo in carne ed ossa ma una sorta di animale mitico, inavvicinabile e intoccabile, quando non lo si condanna alla cajenna dell'eclettismo e dunque dell'inaffidabile perché soggetto mutevole e cangiante.
Così la capacità di mettere in relazione tra loro cognizioni organizzative imprenditoriali, cognizioni scientifiche, cognizioni umanistiche estese ai campi delle arti figurative, della musica e della letteratura di Este Milani, lo riduceva al ruolo dell'erudito quasi inavvicinabile.
Così ovviamente non era perché Estino era persona mite al limite della dolcezza e aperto all'incontro con l'altro. Bastava rompere la barriera del pregiudizio perché si spalancasse a chi gli si avvicinava un mondo di umanità.
Una umanità complessa che i suoi versi giovanili rivelano a tutto tondo. Le liriche di Memoriae pur nel chiuso di una esperienza che si rivela attraverso il guscio formale del rigore stilistico e della citazione colta (quei riferimenti al Petrarca e a Rilke e a Pascal e a Gongora e a Bach e a Chopin..) fanno trasparire tutta l'angosciosa inquietudine dell'uomo del Novecento cui vengono meno le semplici certezze dell'illuminismo e la complessità della modernità, tra abisso e luce, tra terrore e progresso, si rivela a tutto tondo.
L'Estino studioso rigoroso che rivela nel suo lavoro imprenditoriale e nei suoi studi filologici nel campo delle lettere e delle arti figurative la fede in una solida impalcatura positivista, si rivela attraverso questi versi uomo perso tra tenebra e mistero (La tenebra è di qua/..Il mistero è di qua..), tra libertà e angoscia (Scruto l'abisso della mia coscienza/folle di libertà, colma d'angoscia), tra parola e silenzio (la mia voce che importa/che si perda o sia muta?) tra morte e felicità (al ricordo sereno di un'antica/felicità smarrita,/sulle foglie già secche dell'ulivo).
Un uomo che fa del suo cammino poetico non solo opera di scavo nel mistero della vita ma canto consolatorio. Così la sua è anche poesia che rende leggeri tenebra e mistero (pace totale illumina il tuo sonno/…dietro le palpebre ride la giovinezza dell'Iddio /all'anima fanciulla) che lenisce libertà e angoscia della sua follia, nel fondamento ultimo (Guardo le stelle- e sento l'esigenza/dell'Essere che solo, oltre gli spazi,/splende alla luce della sua Presenza), che scioglie il dilemma tra parola e silenzio vagheggiando il profumo del biancospino (E una siepe odorosa ti accompagna,/biancofiorita, oltre l'orizzonte), che assapora la fugacità della terrena felicità (lo sguardo tuo come una melodia,/come per via un canto che si perde/oltre il breve confine che mi chiude,/nell'eco che delude).
Quella felicità che quando lo aiutavo a infilare il pesante cappotto grigio e gli porgevo il cappello, al termine delle riunioni del Rotary "La Malpensa" da lui frequentato assiduamente per un cinquantennio, sapeva prorompere in un sorriso discreto e uscire in un giudizio appena sussurrato come quello fulminante con cui mi congedò al termine di una mia relazione sulle radici della giustizia " Bella pretesa la tua, quella di coniugare etica a politica!"