Declinare sulla persona – "Varese e Cuvio anni '40", l'ultimo libro di Giovanni Zappalà edito da Macchione racconta pagine di vita personale intrecciate con i grandi avvenimenti della storia italiana, declinando la terribile esperienza della Guerra su scala ridotta e verificandone l'impatto sulla dimensione privata raccolta il quel piccolo pezzo di mondo nel quale viviamo. Racconta, in poco meno di duecento pagine, il percorso di crescita di un bambino attraverso i duri avvenimenti della Guerra e i primi movimenti partigiani che si riunivano nei boschi del Poncione. Ma "Varese e Cuvio anni '40" non è una cronistorica bellica, nè tanto meno un "romanzo di formazione": nelle pagine del racconto si mescolano, con un linguaggio semplice e piano, ricordi, immagini della fanciullezza, piccoli e grandi mutamenti della città di Varese in anni davvero cruciali, senza che i protagonisti vengano appiattiti o zittiti in una fredda e oggettiva ricostruzione.
Immagini scomparse – Giovanni Zappalà racconta della
sua casa in viale Belforte, quando quella zona era pienamente agricola e quasi ai margini della periferia; racconta di una città attraversata dai tram e che lentamente si vede occupata da nuove ville e condomini; racconta dei giochi da bambini nel cortile del Castello di Viale Belforte che, come tutti i ricordi enfatizzati dagli anni, appare nei ricordi di oggi, come il luogo più bello del mondo. Intanto la grande tragedia si affaccia all'orizzonte, mentre il cielo rimbomba del fragore dei bombardieri e diventa scarlatto nell'ora del coprifuoco. E con la tragedia si affacciano anche le domande colme di paura di un bambino: "Perchè prendersela con civili, perchè accanirsi su città sempre più deserte abitate principalmente da donne, bambini e vecchi? È la guerra. Questa la risposta alla domanda che sentivo sollevare da più parti, ed io non capivo. Avevo paura, tutti avevano paura. E mentre le donne anziane sgranavano i rosari, noi allora bambini, ci tenevamo tutti stretti al flebile, inutile riparo di una coperta scura".
Intanto Varese, ferita, bruciava. Le immagini fotografiche di una città sventrata dai bombardamenti fanno pensare a esili definitivi, a famiglie divise e a sogni e vite spezzate per sempre. "I danni maggiori erano avvenuti a Masnago, altri in via Staurenghi, via Indipendenza, via Grandi, via Robbioni, via Morandi. Bombe dirompenti erano cadute tra Masnago e Casciago, altre a Casbeno, a Velate, alle Bettole e a San Fermo. Sul Colle Campigli il liberty "Palace Grand Hotel" ridipinto di verde scuro, cancellando i preesistenti segni internazionali della "Croce Rossa" posti sul tetto, distante un centinaio di metri dalle officine Macchi e adibito nel 1941 a "Ospedale Territoriale Militare" non venne colpito".
Le ferite ricucite – Molti profughi, giacchè di questo si deve parlare, si trasferirono in Valcuvia dove i contadini, con ai piedi gli zoccoli di legno, lavorano la campagna e le donne lavano i panni alle fonti. In questi paesi un bambino, intanto, diventa grande e acquista maggiore consapevolezza delle pagine di storia che vede scrivere intorno. Il libro, sorprendentemente, giunge quasi ai nostri giorni con ricordi vivificati, contatti umani ritrovati, dialoghi mai interrotti.