L'esperienza del nuovo MAGa, soprattutto per chi era abituato alla "vecchia" GAM, ha un sapore quasi surreale. Sarà anche la luce malinconica della domenica pomeriggio, ma l'impressione è quella di un metafisico straniamento, quasi che questa nuova, internazionalissima struttura faccia la sua apparizione improvvisa e inattesa nel familiare scenario gallaratese. Occasione particolare, poi, poiché per quanto pubblicizzata e popolarmente attraente sia la mostra temporanea, la vera opera "esposta" è il museo stesso, tanto atteso quanto, per certi versi, temuto. Ebbene, il museo è decisamente alla moda; risponde pienamente alle aspettative legate al concetto di "nuovo museo" quale è stato sviluppato, al di là di eventuali bizzarrie, nel contesto internazionale odierno.
Anche il rapporto con le preesistenze – il fabbricato industriale anni Trenta che costituisce parte della struttura – è più armonioso e funzionale dal vero di quanto potesse sembrare dal progetto. Tutto funziona bene: nel MAGa si sa sempre dove andare, l'architettura non cela mai la propria funzione e i ritmi della visita, con l'eccezione degli spazi di sicurezza un tantino impraticabili nell'area-Modigliani, sono gestibili razionalmente e con relativa tranquillità. La parte dedicata alla collezione permanente si serve di un espediente logistico ampiamente sfruttato nei musei di ultima generazione: i grandi pannelli estraibili – pesantucci, a dire il vero – che consentono di risparmiare spazio celando, di fatto, una parete espositiva sotto l'altra. Stilema trito dei nuovi musei, appunto, ma qui assai utile, oltre che a superare il problema della disponibilità di spazio, anche a rendere più varia, interattiva e sfaccettata la fruizione delle opere, arginando la freddezza dell'allestimento e consentendo di evitare la sempre più diffusa sindrome da stanchezza museale pregressa che coglie il visitatore medio, allorché si trova davanti a lunghi e minacciosi corridoi.
I lavori esposti della collezione permanente
documentano bene la meritevole linea di tendenza seguita dalla GAM fin dalle origini; quella cioè di guardare al "fuori" senza dimenticarsi del "dentro", di raccogliere lavori testimonianti il rapporto tra territorio e contesto internazionale, e le modalità mediante le quali l'uno si proietta nell'altro. Da Guttuso, figura chiave nella storia dell'istituzione gallaratese, alla serie di dipinti chiaristi, mai prima esposta, dalle avanguardie degli anni Cinquanta e Sessanta, rappresentate da "assaggi" di assoluto valore internazionale, fino alle più note sperimentazioni degli ultimi decenni; il visitatore che riesca ad estrarre pannello dopo pannello ripercorre una lunga storia, che è sì la storia dell'arte italiana del secondo Novecento, ma è anche la storia di un'idea, quella della GAM di Gallarate.
Nota parzialmente dolente, la mostra di Modigliani. È fuor di dubbio che essa consenta di provare, di fronte ad alcuni lavori (la Jeanne di Gerusalemme, ad esempio) tutti quegli stati di semi-incanto sui quali i testi in catalogo – ma anche il titolo stesso – puntano con insistenza. Tuttavia, proprio un simile appello a una sigfridiana irrazionalità stona parecchio con il modus operandi consolidato a Gallarate, e basato più sullo stimolo critico che sull'appetito turistico. Interessante la raccolta di documenti legati alla vita, anche schiettamente quotidiana, di Modì: e ancora più stridente, pertanto, la scelta dei concetti espressi in alcune delle interviste raccolte nel video al secondo piano, talmente divulgativi da risultare probabilmente scontati anche ai destinatari stessi della divulgazione. Ci rendiamo conto che, nel bilancio di quello che è ormai un grande museo, mostre di grande richiamo come questa siano quasi fisiologicamente necessarie, almeno a scadenza periodica. E proprio per questo apprezziamo la scelta – forse imposta dai costi o dalle circostanze, ma non importa – di limitare l'estensione dell'evento evitando di invadere eccessivamente gli spazi della collezione permanente.
Da frequentatori appassionati e un po' nostalgici della "vecchia" GAM, speriamo tuttavia che a "eventi" di questo tipo si alternino, magari riprendendo silenziosamente il sopravvento, iniziative culturali di carattere e valore scientifico come quelle a cui Gallarate ci ha abituati in passato. Un MAGa che costituisca una versione imborghesita della GAM sarebbe un vero peccato. Ma restiamo fiduciosi.