Va' a capire perchè dopo aver incontrato Ambrogio Pozzi mi è saltata in mente, anzi nelle orecchie, "Happiness is a Warm Gun" incisa da John Lennon e più di recente ripresa dagli U2. Pozzi ha quella franchezza un po' ruvida e bruciante ma così veritiera di rapportarsi, di spiegare, di confidarsi. Un rudezza di carattere trasparente e lucente come il cristallino, verrebbe da dire. "Il mio nero parla", "Il mio blu vola", "Il mio giallo sogna", Pozzi è un artista in grado di far parlare e di ascoltare i colori, in un percorso nel quale la fantasia non intacca il primato del progetto, il ragionare pratico ed artigianale, la tattilità e il senso artistico della materia. Rigoroso e puntuale nella definizione della genesi delle proprie opere, l'artista ci svela tutti i segreti dei materiali che adopera: dalle cromotarsie lignee, sezionate e colorate in ogni centimetro, ai grandi cristalli, vere sculture opalescenti di bellezza e di luce.
Ambrogio Pozzi, maestro indiscusso del design contemporaneo, ha partecipato a numerose collettive a Vienna, Copenaghen, Londra e Monaco e ha avuto la capacità e la fortuna di lavorare con i migliori come Guzzini, Rosenthal, Bormioli, progettando oggetti entrati nella storia del moderno design internazionale. Sin dalle prime opere matura quel suo personalissimo e geniale stile lineare, dalle forme sinuose di ascendenza surrealista, caratterizzato da colori e profili e che ricordano smaccatamente Picasso, Mirò e l'amato Chagall. Nel 1987 Enrico Baj scriveva: "Ambrogio Pozzi è un tremendo creatore di microstrutture d'ambiente, un ambiente complicato, irto di torri e di piattaforme, pieno di fantasia, di oggetti double face, vere trappole di un progetto post-design. Coppe, teiere, piatti, bicchieri e posacenere diventano gli elementi costruttivi di un paesaggio immaginario, vere tessere di un puzzle della memoria".
Un particolare ringraziamento a Lara Gadda per il montaggio del video allegato