Addio all'autore – Si è spento alla veneranda età di novantadue anni Ugo Sambruni (Mariano Comense, 1918), importante artista del Novecento comasco, da anni residente tra il paesello lacustre di Cernobbio ed i panoramici pendii del Monte Bisbino, al confine con il Ticino. Attratto dall'arte già alla età di quattordici anni, frequenta la Scuola superiore d'Arte Sacra Beato Angelico sotto la guida del pittore Don Mario Tantardini, per poi proseguire gli studi all'Accademia di Belle Arti di Brera, vicino a maestri e compagni del calibro di Carpi, Messina, Marini e Morlotti. Ma, accanto a questi illustri, nomi rammentiamo anche l'amicizia con De Pisis, trasferitosi nel capoluogo lombardo dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, e l'incontro sul Monte Bianco con lo scrittore e giornalista Curzio Malaparte, che di lui parla in un suo romanzo del 1941 intitolato Il sole è cieco.
Chiamato alle armi all'inizio dello scontro bellico, è costretto, con suo rammarico, ad abbandonare tele e pennelli. E sarà proprio questa "sporca guerra" a lasciare in lui quelle cicatrici e quei dolori che solo la pittura, con la sua mutevole intensità materica e cromatica, è riuscita nel tempo ad alleviare. Impegnato con costanza nella sua missione d'artista, Sambruni ha attraversato senza troppo scalpore un intero secolo, compiacendosi delle espressioni e delle tecniche più varie. Dal cubismo all'informale, dalla pittura alla scultura, il suo lavoro si è inserito silenziosamente nel vasto alveo novecentesco, con contributi e risultati del tutto personali.
Memore del suo importante vissuto, l'artista ha infatti trasportato sulla tela tutte le esperienze pregresse,
(Foto by Pozzoni Carlo)
concretizzandole in composizioni camaleontiche e allo stesso tempo molto accurate. Da questa personalità fertile, e piuttosto solitaria (molti ne ricordano il carattere un po' burbero), è nata una produzione versatile, costantemente in bilico tra terza e quarta dimensione.
Una vita "semplice", ma densa di avvenimenti e di meritati riconoscimenti, come il Premio alla Permanente di Milano nel 1955 o il Premio Giovanni Segantini a Sankt Moritz nel 1968. Ma ancor più significativa fu per lui la presenza alla XXIII Biennale di Venezia (1942), a cui partecipò con uno dei soggetti più cari e ricorrenti della sua produzione: il cavallo. Un soggetto indomito, energico, svincolato da qualsiasi legge o costrizione. Proprio come lui, che con la sua guardinga riservatezza ha sempre rifiutato di sottomettersi ad alcune di quelle irriguardose regole di mercato. Ed è così che noi oggi vogliamo ricordarlo: libero. Libero da etichette e da inutili contingenze.