Nella sala Lodovico Conti del Centro Culturale Alessandro Manzoni ci accoglie Toniutti, artista milanese e formatosi all'Accademia di Brera. Molti sono gli spunti di riflessione che sorgono dai suoi dipinti, tanto che il curatore della sua mostra precedente, Paolo Biscottini, ha fatto giustamente notare la dimensione intimante rivelativa dell'arte di Toniutti, constatando come la sua pittura vada progressivamente ad assomigliare a quello che lui è, in un viaggio di ricerca della realtà che coincide con una rivelazione di sé.
Sentiamo dunque il commento in prima persona dell'artista circa le proprie opere.
Questa mostra è stata intitolata con un'espressione molto suggestiva ed evocativa: "Avvistamenti". Può spiegarcene il significato?
"L'idea dell'avvistamento è quella di una visione improvvisa di qualcosa, che non necessariamente è straordinaria, ma è una visione che si impone all'interno di una normalità: ad esempio, è qualcosa che è avvistato all'interno della città, per cui ci sono questi monumenti che dialogano con tetti di case, con antenne, con fili, dove si crea un'immagine vicino alla visione, cioè che va oltre alla naturale veduta. Così pure negli avvistamenti marini, che forse sono più consoni al titolo, dove queste navi che vengono da chissà dove s'impongono con la loro presenza, guizzano fuori, balzano nello spazio e sono portatrici di mistero, sono cariche di mistero. Questo è ciò che mi incuriosiva, e gli avvistamenti vanno visti nell'ottica di questi due aspetti".
Colpisce in modo particolare la scelta di questi due
soggetti: navi e città. Da un lato il tema del viaggio, della navigazione, con il tipico senso di dinamismo insito nel mare; mentre dall'altro lato c'è il tema della città, con la sua staticità, con l'idea di una stabilità delle case e dell'ambiente urbano. C'è una tensione, una relazione dialettica tra questi due opposti?
"Sì. Paradossalmente, pur essendo due soggetti molto diversi, possono essere messi in relazione, perché uno è un soggetto molto stanziale, la città: dove però, anche qui, le forme sbucano improvvisamente, come può accadere di un monumento o di un pezzo di una casa, o di altro. Invece, la visione della nave arriva anch'essa improvvisa: il tema è di qualcosa che irrompe e che si compone all'interno dell'immagine finale".
Nei suoi dipinti si percepisce un'intensa forza cromatica, ad esempio con l'utilizzo anche di colori come l'argento. C'è un motivo, un criterio particolare, magari anche simbolico, nella scelta dei colori?
"Simbolico direi di no, perché il simbolismo non è proprio del mio lavoro, né forse di questa epoca. Più che altro, la complessità dei materiali spesso definisce una preziosità della resa finale. Preziosa può essere la nave dorata che arriva, carica e portatrice di tante cose, oppure può
essere un orizzonte che sparisce quasi nella nebbia o in uno spazio infinito. Tutto ciò è reso attraverso questi materiali preziosi, mentre le navi possono essere rese attraverso materiali sgocciolanti, molto vitali e molto forti, portatrici di qualcosa di arcano e misterioso".
Ci sono artisti che le sono stati in modo particolare fonte di ispirazione per le sue produzioni, e che lei ritiene importanti per il suo cammino e la sua formazione artistica?
"I maestri storici del secolo scorso: Sironi, per la scioltezza dell'immagine; senz'altro il movimento e il colore di Boccioni e del futurismo; più di recente, Schifano, magari per l'uso libero del colore e la cromia; Giovanni Frangi che è un pittore che stimo; e Kiefer per l'uso della materia e il rapporto con la storia".
Può darci delle anticipazioni su progetti e lavori futuri?
"Ho in mente di fare una mostra insieme ad un amico pittore, in zona bergamasca, ma è un progetto ancora solo in cantiere".