Dieci artisti sono stati chiamati a rappresentare, con le loro opere, dieci dei principali episodi tratti dalle pagine del libro della Genesi. Un unico tema, ma dieci opere tra loro molto diversificate che rispecchiano lo stile e la sensibilità specifica dei rispettivi autori: Silvio Wolf, Umberto Mariani, Marica Moro, Luca Scarabelli, Walter Ricardo Francone, Riccardo Paracchini, Mariella Bettineschi, Giorgio Vicentini, Kengiro Azuma e Marcella Gallotta. Alcuni di loro ci hanno svelato gli interessanti retroscena che hanno condotto alla realizzazione delle loro opere.
Marica Moro, chiamata a ritrarre con il suo "Terzo giorno, serra", il terzo giorno della creazione biblica, commenta la somiglianza tra i germogli rappresentati nella sua opera e le figure di piccoli esseri umani dalle braccia protese in alto: "Un laboratorio di sperimentazione più umano che vegetale, e dunque un riferimento al tema della nascita, della Genesi. Il piccolo germoglio, il minuscolo organismo, da seme diviene individuo".
Mariella Bettineschi, invece, con "Il settimo giorno", racconta la laboriosa fase di gestazione: "E' stato complesso scegliere questi argomenti ed affrontarli. Così, continuavo a "girargli intorno", senza prendere nessuna decisione. Però, quando ho finalmente scelto di occuparmi di questo tema, d'improvviso mi è stato tutto molto facile. È avvenuto tutto in pochissimi minuti, quasi come una folgorazione. Ho pensato ad un'esperienza che molte donne vivono ed io, come artista, vivo quotidianamente: ossia, ho pensato al momento in cui una donna partorisce un figlio e vede questo individuo per la prima volta. È un incontro molto particolare, poiché in fondo quel figlio è "uno sconosciuto", un "altro da sè" e dunque può suscitare un misto di paura e di
meraviglia. Una cosa simile accade ad un artista quando ha finito il suo lavoro: lo guarda come qualcosa che, in fondo, non gli appartiene definitivamente e interamente. Poi ho fatto un passaggio elementare: ho pensato a quanto ci viene narrato nel libro della Genesi. Anche Dio, appena terminato il "suo lavoro", riguarda la Creazione con stupore e meraviglia. Infine, ho provato ad immaginare che sarebbe stato bello se questo Dio avesse avuto il viso di una fanciulla. Così è stato tutto molto semplice".
Giorgio Vicentini, che con l'opera "Custodire" si è occupato della cura che l'uomo è chiamato a riservare al giardino dell'Eden, ci offre una riflessione sul rapporto tra sacro e profano: "La vita è sempre vicina al sacro. Difficile che se ne possa distanziare. Il mio Eden erano i miei genitori che mi hanno educato a conservare la bellezza che avrei incontrato nella vita. Perciò ho messo questa pittura così trionfale, ricca, generosa, in un certo senso "molto grassa", piena della sua bellezza, senza togliere nulla, poiché l'Eden è stra-bellissimo, e non dovevo (potevo) diminuirlo. D'altra parte, mi interessava far capire come un pittore contemporaneo potesse anche interrompere questa bellezza, perché quando è troppa, è difficile da gestire: l'uomo ha bisogno di piccoli momenti di sosta, di fermata, di distrazioni o di riflessioni".
E l'idea di colore fragrante, da dove nasce?
"Fragrante perché il colore è la luce: ossia, la luce è la
luce, e il colore si ispira alla luce. È questo che intendo quando dico che l'opera non si può ridurre, e nemmeno io potevo ridurla; è uscita in modo astronomico. Nonostante ciò, essa è comunque solo una pagina, una piccola porzione di pittura. Non volevo che fosse tutta, perché la pittura è "enorme" come l'Eden, e io ne ho fatto solo un pezzettino".
L'opera scultorea di Kengiro Azuma, "Giardino di Eva e Adamo", è stata introdotta da Cecilia De Carli, che ha apprezzato la capacità di riproporre il tema del peccato originale utilizzando categorie concettuali tipiche del pensiero orientale: "Viene fuori come cultura, sempre presente in tutto il suo lavoro: l'idea del Mu e dello Yu, cioè il vuoto e il pieno, lo spirito e la materia. E qui, in quest'opera, ci sono i nostri progenitori: Adamo ed Eva, che sono davanti al serpente che è rimasto attorcigliato attorno all'albero senza chioma, e si sostengono a vicenda. Hanno già nella loro carne i segni della corruzione e della morte, del fatto che la perfezione non c'è più".
Lo stesso Azuma, inoltre, spiega: "Essendo scultore, ho voluto esprimere, ho voluto trasformare in forma visibile, ho voluto rappresentare la storia del giardino dell'Eden nel modo più semplice possibile, con lo spazio più essenziale. La storia è sempre quella, e io penso che in questa maniera ha la forma e lo spazio; credo che la gente e tutti i popoli di qualunque nazione quando vedono quest'opera, la possano immaginare come il
nostro peccato originale".
Infine, Marcella Gallotta ha raccontato il difficoltoso lavoro preliminare di studio e di ricerca concettuale: il suo "Geist und Materie" è l'unica opera che non ha avuto come riferimento un passo della Genesi, bensì un'epistola di San Paolo, che ne costituisce quasi un compimento. "E' stato davvero complesso studiare, nel profondo, la lettera di San Paolo ai Colossesi: ho dovuto affrontare dei veri e proprio studi biblici. Non pensavo che in poche pagine si condensasse tutta la dottrina cristiana. È stato molto più lungo il processo di studio della lettera che non poi la scelta dell'immagine. È un'immagine che appartiene alla ierogamia, ossia il matrimonio tra divinità in greco, ed è una serie che affronta il tema della ricerca dei rapporti tra architettura e arte. Questa che presento è una fotografia della Neue Nationalgalerie di Berlino, fatta nel lontano 1999".
Un focus su un percorso, su un cammino dell'uomo tra ombra e luce.