Erano maestro e allieva, Rocco Borella (Genova, 1920 – 1994) e Mirella Marini (Genova, 1936), i due artisti liguri che, «nella vitalità del colore l'uno» e «nella spazialità del segno l'altra», si confrontano fino all'8 giugno nella bipersonale in corso presso la Galleria Mosaico di Chiasso. Toni caldi, squillanti, oppure cupi e tempestosi, ricordano, seppur in modo diverso, le cromie del loro paese natale: è qui, infatti, che il pigmento, soggetto alle variazioni della luce, si rabbuia improvvisamente mostrando l'animo "paludoso" di questa terra.
Le ricerche di Rocco Borella, importante esponente dell'ambiente artistico genovese dell'immediato dopoguerra, prendono il via dalla declinazione ottico-percettiva del colore e dalla sua analisi gestaltica. Esordisce nel 1946 accanto a Giannetto Fieschi ed Emilio Scanavino, ma tende a distinguersi dai due coetanei, già nella seconda metà degli anni ‘50, mediante l'uso del colore, che per lui diventa l'elemento distintivo e dominante. Nascono opere come i Cromemi, termine ideato dal teorico e linguista Gian Paolo Barosso per indicare «minime unità alfabetiche del colore, corrispondenti, sul piano del suono, ai fonemi, […] tracce lineari di colore puro accostate su valori ottico-percettivi, rinvianti a possibili risonanze sonore o verbali e destinate a un'emozione, per così dire, fredda, originata dal rapporto di forze, tensioni, energie, tra colore e segno, e consegnata a una lettura retinica e linguistica insieme». Ciclo-preludio ai futuri Nuovi Cromemi, lavori non più pittorici ma sintetici che lo indirizzano prima verso una fase "optical" e poi verso il cosiddetto "espressionismo cromatico". Sicuramente memore della lezione di Rothko, l'artista inizia a realizzare ipnotiche campiture di colore: bande monocromatiche sovrapposte e delimitate da rettangoli neri irregolari. Sono dipinti evocativi in cui le cromie
affiorano dal fondo assorbendo ed emettendo una luce che muove sul terreno non facile dell'astrazione.
Mirella Marini parte da un'iniziale figurazione, contraddistinta da mari in tempesta, zattere-navi fantasma e guerrieri – simboli dei conflitti e delle pulsioni (auto)distruttive dell'uomo – per arrivare, sotto l'influenza anche di un lungo soggiorno portoghese, a un'astrazione onirica, fatta di segni e ideogrammi che riassumono, nella forza del gesto, tutto il suo mutevole microcosmo. Una poetica mediterranea in bilico tra passato e futuro, primitivismo e condizione postmoderna. La Marini sperimenta ampiamente la tecnica dell'incisione (acqueforti, acquetinte, inchiostri, pastelli e gouache) e predilige l'uso di tinte fredde, su cui, talvolta, fa risaltare colori più caldi, come i rossi e i gialli. «L'opera di questa artista scaturisce costantemente da una doppia realtà: quella del mondo esterno e quella della sua emotività. È sempre molto attenta ai meccanismi della mente, ai messaggi subliminali, ai contenuti a cui la rappresentazione deve dare evidenza, a quelli che intende rendere espliciti o lasciare impliciti. Il suo lavoro esprime, a vari livelli, l'esigenza di comunicare con un interlocutore esterno, di condurlo nella lettura, ma anche di consegnarsi a una visione differente della sua opera, stabilendo una sorta di interattività».
Del colore e del segno. Viaggiare l'orizzonte azzurro
Fino all'8 giugno 2011
Galleria Mosaico
via Emilio Bossi 32, Chiasso
Tel. +41 91 682 48 21
Orari: martedì – sabato 15.00 – 18.00