Raffinata, intelligente e con un grande fiuto per l'arte contemporanea. Margherita Stein, nota con il nome del marito, Christian, è stata e rimane una delle più importanti collezioniste del dopoguerra, titolare dell'omonima galleria fondata a Torino nel 1966 e poi trasferita a Milano dopo una breve parentesi nella Grande Mela. Questa elegante signora dell'arte ha acchiappato e celebrato i migliori "puledri" dell'arte povera italiana, conservando le opere che più la appassionavano anziché alimentare il freddo e venale mercato dell'arte. È stata lei una delle maggiori sostenitrici del movimento poverista, il cui nome – coniato nel 1967 dallo storico dell'arte Germano Celant – poneva l'accento su uno spirito libero, anti-utopico, impegnato nella sperimentazione di materiali nuovi o inconsueti, di oggetti in origine privi di valore. "Il luogo comune è entrato nella sfera dell'arte e l'insignificante ha iniziato ad esistere", affermò il critico genovese nella presentazione di una delle prime mostre del gruppo. Ecco allora che a materiali poveri, vegetali, minerali e inorganici, come ceramica, legno, cemento, pietra, vetro, terra, stracci e carta, si mescolano brandelli di banale quotidianità, come motori elettrici e neon. Una poetica che affida il proprio destino alle componenti che la determinano e allo spazio che la ospita.
Il percorso espositivo si dipana in ordine cronologico in tutti e tre i piani del Museo. Si parte dai Contrappunti di Melotti e dai tagli di Fontana, per passare ai cementi
verso oltremare, 1996
armati di Uncini, alle tele estroflesse di Castellani e ai Monocromi di Manzoni. A questi si aggiungono i lavori di Lo Savio, Colla, Paolini, Calzolari, Anselmo, Kounellis, Merz, Fabro, Penone, Zorio, De Dominicis, Salvadori, Bianchi, Parmiggiani e Boetti. Di quest'ultimo in esposizione anche la celeberrima Zig-Zag, presentata per la prima volta nel 1966 proprio alla galleria Stein. Una struttura che gioca ironicamente con le strisce della pittura astratta per descrivere "il movimento del tessuto colorato montato su un telaio". Fiabesca e dissacrante, invece, l'Italia d'oro di Fabro, appesa a testa in giù per la punta dello stivale. «L'Italia è come l'album degli schizzi, promemoria, continuo a farla negli anni: se studio qualcosa di nuovo lo abbozzo in un‘Italia», aveva spiegato l'artista, presentando questa icona in tutte le "salse": in cristallo, piombo, carta, ferro, vetro, appesa al muro, rovesciata o ridotta in crinolina. Una chiara denuncia verso un'Italia dei balocchi e delle contraddizioni. E riguardando questa carrellata di opere si capisce che l'etichetta "Arte povera", come asserisce la stessa Stein in un'intervista rilasciata nel 1992, serve solo a individuare un gruppo ma non a descrivere artisti così diversi fra loro. Bisogna considerarli come dei "cristalli". «Hanno diverse sfaccettature, ognuna delle quali rappresenta uno degli aspetti della loro personalità». È questa la vera Italia: una nazione dalle mille facce che non finisce mai di incantare, di fare arte e contestazione.
Collezione Christian Stein. Una storia dell'arte italiana
fino al 22 maggio 2011
Museo Cantonale d'Arte
Via Canova 10, Lugano
Tel. +41 91 9104780
decs-mca@ti.ch
Orari: martedì dalle 14.00 alle 17.00;
mercoledì-domenica dalle 10.00 alle 17.00