Baden Baden é lontana, ma non poi così tanto ed é un piacere andarci perché lì si é sicuri di trovare sempre qualcosa di bello e di stimolante da vedere o da sentire. Al Festpielhaus Abbado e i Luzerner scalavano l'ardua vetta dell Quinta di Bruckner coinvolgendo il concetratissimo pubblico (mai un telefonino che squillasse, mai un colpo di tosse) in una emozione somma. E, alla sera dopo, incominciava il Ballet-Werkstatt di Neumeier ed era già tutto un palpitare di fräuleinen per Roberto Bolle. Anche per le arti figurative Baden Baden é una manna: lasciamo perdere Frida Kahlo al Kunstmuseum perché occasioni di vederla ce ne sono fin troppe, ma una deliziosa rassegna di quell'impertinente di Jean Cocteau allestita alla Società degli Amici dell'Arte, proprio alle spalle dei "tepidi lavacri" del Friedrichsbad, era occasione da non perdere. Così si poteva conoscere l'uomo Cocteau con le sue contraddizioni (pervicace immoralista ma anche seguace di Maritain) e l'artista che dipingeva, faceva lo scenografo, disegnava per Coco Chanel e creava per Cartier quell'anello a tre fedi d'oro di color diverso che molti sfoggiano ancora senza sapere che é suo. Ne emergeva un genio trasgressivo a cui Wahrol, Hockney e tanti artisti del nostro tempo debbono qualcosa.
Non son finite le mostre perché al Museum Frieder Burda, affacciato sulla Lichtentaler Allee, magnifica nei colori dell'autunno, si presenta Anselm Kiefer (fino a gennaio 2012) con opere della raccolta di Hans Grothe. L'artista di Donaueschingen, nato nel 1945 proprio quando la Germania incominciava a rialzarsi dagli orrori della guerra, ci mette davanti, senza che possiamo più arretrare, alle sue architetture minacciose di rovina, ma sempre tese verso un kantiano cielo stellato, ai suoi fiori impalpabili eppur capaci di contrastare e vincere il buio pesante dello sfondo e ancora ai ricordi del mondo
ebraico, icone davanti alle quali non si può che arrestarsi per riflettere, a lungo, in emozionato e smarrito silenzio.
Dal Baden-Württenberg alle ultime, dolci propaggini dell'Appenino fra Piemonte e Liguria, anch'esse struggenti nella varietà dei colori autunnali. Peccato che a Volpedo, nello studio di Pellizza, abbia ormai chiuso la mostra che ricostruiva gli anni della sua formazione, tra il 1880 e il 1892, anni spesi dall'artista a frequentare, per apprender sempre di più, le Accademie d'Italia: Brera, Roma, Firenze, la Carrara di Bergamo. Dopo, alle grandi città Pellizza preferì sempre la solitudine di Volpedo, il piccolo centro dov'era nato e dove dipinse Il quarto stato, opera di riferimento per il divisionismo e non solo, oggi relegato a far da manifesto pubblicitario del milanese Museo del Novecento. Peccato, si diceva perché Aurora Scotti, curatrice della rassegna, aveva radunato, accanto a disegni accademici e copie dal vero, pochi ma significativi lavori dove il pittore affronta in modi rigorosi i problemi delle inquadrature e della luce. La piazza di Volpedo (1888) invasa dalla luce estiva e scandita dai volumi delle case appare come una salda premessa per ciò che avverrà in seguito; il Ricordo di un dolore o Ritratto di Santina Negri, sapiente rielaborazione degli insegnamenti di Cesare Tallone, suo maestro alla Carrara, e dei macchiaioli é già pervaso di quella malinconia che é sigla di tanti lavori dell'artista.
frutta candita
Nello studio di Volpedo (si può visitare sempre, e ne vale la pena, magari indugiando sui titoli dei libri che l'artista leggeva) era esposta anche una Natura morta con cipolle; altre tre sono visibili, fino a febbraio 2012, presso la Pinacoteca della Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona dove Giovanna Ginex ha curato una mostra, attraente e brillante senza venir meno al rigore delle scelte, su La meraviglia della natura morta 1830-1910 (catalogo Skira). Si parte da Hayez con un quadro di Fiori, che sembra di un fiammingo, e si arriva alle Dalie e agli Ireos di Previati, artista apprezzato da Boccioni, autore di un Cocomero, purtroppo negato alla mostra dal Museo di Hannover, che sarebbe stato con il suo esplosivo dinamismo un finale memorabile. Nelle sale della Pinacoteca della Cassa di Risparmio di Tortona, simili per dimensioni a quelle delle case della ricca borghesia (gli Junck, i Treves, l'industriale legnanese Dell'Acqua) dove questi dipinti facevano bella mostra di sé, sono appese opere di Luigi Scrosati, che all'accademia milanese insegnava proprio pittura di fiori, di Amanzia Guerillot Inganni e Maria Michis Cattaneo,signore distintesi anche alle mostre di Brera, del virtuosistico Bouvier fino alle prove naturaliste di Carcano (bellissimo In autunno, le foglie delle piante sul balcone ormai avvizzite davanti al panorama di Milano col Duomo e la Ca' Granda), Feragutti Visconti, Gignous e il Segantini "barabin". Sulle tavole non solo fiori, ma tanta cacciagione nostrana, fin un Gorgonzola umido e ben stagionato dipinto di Tallone, angurie e zucche e poi canditi, marrons-glacées e caramelle sulle quali, golosi, vorremmo allungare le mani, dispensate in una superba tela di Emilio Longoni che in un'altra mette in posa un fragrante panettone. E qui ci vorrebbe ancora Roberto Longhi a chiosare: "di Cova, prima dell'industrializzazione recente".