Una costruzione che vive del colore dei marmi pregiati, coronamento e fulcro di tutto il presbiterio. La grande macchina dell'altar maggiore della basilica di San Vittore, alla cui realizzazione si attese a partire dal progetto ligneo di Bartolomeo Bolli del 1734-35, fino all'avvenuta conclusione nel 1742, si presta ad essere apprezzata per alcuni particolari di grande finezza compositiva.
La straordinaria perizia nella ricerca e nell'intaglio dei marmi si deve alla bottega dei fratelli Buzzi di Viggiù, Carlo Gerolamo e Giuseppe. Sono invece di Elia Vincenzo le vibranti statue angeliche, il Cristo trionfante e Dio Padre, oltre agli angioletti e testine angeliche che, distribuiti nel contesto, sono veri e propri punti di luce grazie al nitore del marmo di Carrara. La cimasa, con le statue del Buzzi, fu ammodernata da Giuseppe Baroffio, architetto e pittore attivo in diverse "fabbriche" cittadine.
L'angelo di destra richiama alla mente gli esempi
tabernacolo
berniniani romani. Con quella posa avvolgente suscita un moto di panneggio, di vento, di estasi.
Ammirando da vicino la testina angelica insinuata nella voluta che funge da mensola, apprezziamo la lavorazione del marmo, nella sua delicatezza epidermica, su cui la luce gioca un ruolo fondamentale, riverberandosi.
Il bronzo dorato applicato, di straordinaria qualità, è invece opera di Carlo Domenico Pozzi e Giovanni Antonio Repetti, entrambi originari di Milano.
Il tabernacolo impreziosito da variegati marmi e bronzi dorati, propone sulla portina bronzea la Cena in Emmaus, di Elia Vincenzo Buzzi. Una tenda fa da quinta teatrale alla scena in cui i panneggi delle vesti creano effetti luminosi e di ariosiosità straordinari.
Il presbiterio della basilica si presta quindi ad essere visto come vero compendio che documenta lo sviluppo dal Barocco al Barocchetto attraverso opere di notevole qualità: architetture dipinte, scene affrescate, architetture lignee intagliate, l'architettura marmorea dell'altar maggiore con statue ed ornamenti bronzei.