La Pinacoteca Züst prosegue anche quest'anno il proprio percorso di riscoperta di figure oggi in parte dimenticate, rimettendo sotto i riflettori Fausto Agnelli (1879-1944), vero protagonista della Lugano di inizio Novecento, sino agli anni Quaranta: richiestissimo dai committenti e presente con le sue opere anche in musei e nei salotti più prestigiosi.
Agnelli non fu solo pittore, ma anche attento uomo di cultura. Solo saltuariamente si dedicava alla scultura, che apprese sui banchi dell'Accademia di Brera. Vinceva infatti nel 1928 il concorso per il monumento al pilota Adriano Guex, schiantatosi con il suo aereo sul Passo del San Gottardo. Agnelli vinse il concorso sbaragliando, come narrano le cronache dell'epoca, quaranta concorrenti.
Fantasie macabre e visioni fantastiche. C'è in Agnelli una forte componente letteraria, un decadentismo traslato anche in pittura. Nel primo periodo si assiste a raffigurazioni di scheletri che ballano, che ascoltano la musica, ma che non sono resi in modo espressionistico. E' indubbio che le tematiche macabre, gli scheletri con connotazioni satiriche, così vivi nel primo periodo della sua attività, gli derivavano anche dagli artisti simbolisti belgi: il primo riferimento va a James Ensor (1860-1949), a Odilon Redon (1860-1917) e ad Arnold Böcklin (1827-1901).
Agnelli troverà comunque le sue fonti principali di
ispirazione nella lettura di grandi scrittori americani, inglesi e francesi del XIX secolo, in primis Edgard Allan Poe, di cui possedeva delle intere raccolte di poesie e racconti, ma anche Charles Baudelaire, Oscar Wilde, Paul Verlaine.
L'Omaggio a Mola. Nel quattrocentesimo anno dalla nascita, la Pinacoteca presenta una piccola selezione di opere del grande pittore barocco attivo a Roma, ma di origine ticinese, Pier Francesco Mola (1612-1666).
Nato a Coldrerio il 9 febbraio 1612 dall'architetto della Camera Apostolica romana Giovan Battista Mola e giunto a Roma in tenera età, Mola alimentò il suo interesse per la pittura grazie all'apprendistato in botteghe prestigiose, come quella del Cavalier d'Arpino (ca. 1625-26), che lo iniziò all'esecuzione di scene mitologiche e bibliche inserite nello scenario della solare campagna romana.
Determinanti per la sua formazione furono però soprattutto i viaggi intrapresi tra 1633 e 1649 fra Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Lavorò con Francesco Albani (forse nel 1638-39) – uno dei massimi esponenti del classicismo bolognese – spingendosi fino a Coldrerio, dove affrescò una cappella nella Chiesa della Madonna del Carmelo (1641-42). In questo periodo la sua pittura maturò un personale connubio tra la
dilatazione scenica delle composizioni, tipica del filone neo-veneto della pittura romana inaugurato da Pietro da Cortona, e le espressioni della pittura di matrice bolognese, oscillanti tra le crepuscolari atmosfere di Guercino e il paesaggio classico di Albani.
Dopo il definitivo rientro a Roma, a partire dal 1647, ebbe come committenti i membri di alcune tra le più importanti casate nobiliari, come i Pamphili, i Chigi, il cardinale Luigi Omodei e soprattutto la famiglia Costaguti, con cui intrattenne rapporti proficui e duraturi e per i quali realizzò cicli di affreschi e un numero consistente di opere pittoriche.
La piccola mostra dossier, curata da Laura Damiani Cabrini, presenta una selezione di opere custodite nelle collezioni del Museo Cantonale d'Arte di Lugano, che sono fatte dialogare con alcuni dipinti, in buona parte inediti, provenienti da importanti collezioni private. Tra le opere di maggior richiamo spiccano un Baccanale schedato da Eric Schleier e alcuni disegni, che testimoniano la rilevante produzione grafica dell'artista.