zone prealpine
Sul tavolo libri si accumulano su libri in attesa di essere letti o consultati prima di trovar posto sugli scaffali. Due, nonostante il disordine, riescono a stare sempre accanto, pur essendo diversi non solo di formato, ma anche, e soprattutto, di contenuto. Eppure un legame sottile c'é: tutti e due rimandano a Varese e son lì a documentare la varietà e la vivacità di interessi dei suoi concittadini. É un piacere aprirli e sfogliarli: belli da vedere, stimolanti per le proposte.
Lago "di Varese": una storia "sott'acqua". I signori delle stanghe é il titolo del primo libro, una interessantissima sorpresa di cui dobbiamo esser grati ad Amerigo Giorgetti. É un libro di storia, non quella inutilmente agiografica che scrive il segretario comunale o l'impiegato di banca andato in pensione, ma quella appassionatamente ricostruita grazie alla ricerca e allo studio, sempre documenti alla mano. Atti notarili, grida, stati d'anime, memoriali, tutti sono passati al vaglio per offrire uno spaccato di vita sulle rive dei laghi prealpini nei secoli trascorsi, una vita puntigliosamente fervida anche perché dal lago e dalle campagne che dolcemente declinavano in esso veniva se non il benessere almeno da nutrirsi. Gli studi di Giorgetti indagano ed esaltano questo mondo ormai definitivamente tramontato e da noi mai nemmeno immaginato. Non si può restare insensibili leggendo queste pagine che hanno, come annota Luigi Zanzi nell'introduzione, "un sapore misto di inchiostro e di acqua di lago, di carte e canneti, di parole e attrezzi per pescare, di scritti…e di varietà di pesce, di tradizione e di paesaggio".
Avvincente davvero, pur nella complessità, la vicenda delle "stanghe" pali prossimi alla riva e alla terra, che anticamente delimitavano e tutelavano le proprietà e i diritti di pesca. Liti infinite coinvolgevano signori d'alto rango, intere comunità, padroni della riva, fittavoli che sulla pesca di grossi e prelibati persici e sul loro commercio traevano guadagni non meno che dalla coltivazione della campagna che stringeva le sponde.
Tutto di questa attiva civiltà é finito ora; resta solo la silente poesia dei piccoli laghi prealpini evocata con struggente incanto dalle fotografie di Paolo Zanzi e Roberto Caielli messe lì ad illustrare il bel volume (assolutamente da non perdere per i "laghisti") di Amerigo Giorgetti, volume cui ha prestato gran cura la casa editrice Compositori di Bologna.
Da un mondo arcaico all'attualità pulsante e non proprio per qualcosa da vedere o ricordare nel Varesotto, bensì per la presenza di alcuni varesini nell'avventura della quale, da incompetente, accennerò. Ad aprire il coloratissimo volume Arte e videogames. Neoludica 2011-1966 pubblicato da Skira in occasione delle mostre di Venezia e di Mestre, collaterali alla LIV Biennale, si incontrano infatti nomi consueti a chi si occupa di arte contemporanea nel nostro territorio. In primis Debora Ferrari, ideatrice e curatrice di questo evento che arditamente legava il mondo dei videogames a quello dell'arte. La cultura del videogioco col suo linguaggio vitale sta bene in esso né, d'altra parte, l'incalzante progresso tecnologico può esimersi dall'affrontare il problema estetico.
Certo vi sono perplessità da parte di tanti, ma così è stato per tutte le avanguardie che hanno provocato, ai loro esordi e non solo, incredulità, scandali, polemiche feroci anche se poi esse sono state giustificate e accettate. Chi mai, poi, avrebbe pensato all'inizio del secolo scorso che il cinematografo sarebbe diventato arte? Oggi chi potrebbe metterlo in dubbio? Ecco, la sfida di Debora Ferrari e dei suoi partners é questa: fare dei videogames, vale a dire di quei procedimenti multimediali interattivi di cui sanno tutto i nostri figli e nipoti, una forma d'arte che, superate le consuete tecniche, apra verso orizzonti nuovi. "Noi vogliamo cambiare il passato", scrive la Ferrari: sembra quasi di leggere il Manifesto dei Futuristi e noi auguriamo anche al gruppo di Neoludica di crescere nelle convinzioni e nelle ricerche e di avere altrettanta fortuna. Ricorre sovente nei testi sul volume l'affermazione di Marcel Duchamp: "L'arte é un gioco e i giochi sono arte". Si può adottarla certo anche per i videogames.
Per concludere ci pare bello leggere nel sottotitolo la disposizione delle date, che non sa di retrospettiva: prima il 2011, l' oggi; poi, per far intendere che non si é proprio agli inizi, giù giù fino all'ormai lontano 1966 quando Miltos Manetas, un artista greco di stanza a Milano, realizzò i primi "after videogames". Da lì é stato tutto un andare avanti: giocando o smettendo di giocare?