![Un momento dell'inaugurazione della mostra](/wp-content/uploads/2017/07/aa34c7cd9261e20005d50670d0ba24a1.jpg)
Chissà se è tutta colpa dello storico giochino "Trova la differenza" che si vede ogni tanto a fianco dei cruciverba o dei rebus. O se l'occhio dell'uomo moderno è veramente "programmato" per concentrarsi sulle discordanze, sugli ammanchi, sulle divergenze.
Com'è o come non è, a catturare maggiormente l'attenzione dello sguardo sono la frattura, la discrepanza, la differenza, appunto. E se fosse solo un'illusione? E se l'occhio più attento, più acuto e perspicace fosse in realtà quello in grado di apprezzare e di cogliere la vicinanza, la concordanza?
Non l'identità, allora, ma l'affinità, o l'accordo se preferite il frasario musicale. L'occhio sensibile e rigoroso è dunque quello capace di accarezzare le pieghe, le superfici della realtà, scovandone i punti in comune, le tangenze, le corrispondenze, le conformità. Sempre a caccia di intese e di reciprocità (come l'orco affamato di Marc Bloch) lo sguardo umano, più che sulle tracce delle differenze, può andare in cerca di connessioni, relazioni, comunanze.
E così da polemico, diventa critico, possessore di
![Il pubblico presente al Chiostro](/wp-content/uploads/2017/07/4e0ef7c75ac9e02034419c1ca8c2ffb9.jpg)
giudizio.
Sono certa che la mostra in corso al Chiostro di Voltorre non sia nata con lo scopo di mettere sul tavolo una riflessione sul tema della vicinanza e della concordanza. Ma, forse, queste considerazioni si sono andate ad aggiungere in corso d'opera, come un motivo di ricchezza ulteriore.
E l'affinità e l'accordo non stanno solo nell'iconografia delle sculture di Felice Tagliaferri e dei dipinti di Simona Atzori. Ognuno adopera la materia secondo il proprio lessico, secondo quel singolare dizionario artistico che si impara nello studio e nella fatica quotidiana del mestiere d'artista.
I punti in comune, le tangenze e le corrispondenze sono quelle che si vengono a creare negli occhi di chi guarda,
![L'allestimento della mostra al Chiostro di Voltorre](/wp-content/uploads/2017/07/7e4dd72ae52fe7fe2e09f7e5128beb84.jpg)
nelle orecchie di chi ascolta, nelle mani di chi tocca; di chi è disposto a demitizzare, di chi accetta di essere protagonista senza essere individuo solipsista o autoreferenziale, di chi è disposto a cogliere l'arte innanzitutto come strumento che libera la testa.
Nella mostra allestita fino alla fine del mese al chiostro di Voltorre i piani della vita reale e dell'arte rifluiscono uno nell'altro in una continuità quasi ovvia. E come è giusto che sia.
Vengono a cadere non solo le barriere, le fratture, le discrepanze. Ciò che viene spazzato via sono il chiacchiericcio ultrastanco, i panzer culturali che olezzano di qualunquismo, la visione seriale dell'arte e delle mostre, gestite come prodotto a cottimo da impilare per consumatori da ingolfare.
Le opere di Simona e di Felice, calde come corpi umani, mettono in evidenza un senso, un destino, una vicinanza, nella speranza, magari, di recuperare un po' di qualità e di purezza in noi che guardiamo, ascoltiamo e tocchiamo.