Consigli "domestici" di lettura – Abbiamo scelto una serie di brani estratti da interviste a Bill Viola (L'arte di Bill Viola, a cura di Chris Townsend, Bruno Mondadori ed. 2005 e Bill Viola. Visioni Interiori, Giunti ed. 2008).
Quella di Viola è un'arte che si colloca a pieno titolo nella nostra epoca; le sue opere sono realizzate con i media più innovativi e moderni.
Nei due volumi si esaminano i legami della sua arte con le tradizioni religiose dell'Asia e dell'Europa, l'uso dello spazio come metafora, l'impiego del suono e l'impatto delle sue mostre su altri artisti.
"Ho sentito il bisogno crescente di fornire immagini o visioni rivolte al processo di guarigione, alla possibilità di trascendere la nostra condizione, al processo di varcare la soglia. Se il mondo intero sta fallendo e crollando in pezzi, io sento il bisogno di innalzare un mondo perfetto contro tutto questo. Se l'Io è frammentato, ho bisogno di immaginare un Io che non sia scisso". (1999)
"Sono sicuro che una parte considerevole del mio lavoro, in un senso molto profondo, è stato segnato dal periodo che ho vissuto a Firenze, dal 1974 al 1976. (…) Scoprii che tutte le opere che avevo studiato nei corsi di storia dell'arte erano parte integrante e attiva di quella cultura, erano presenti negli spazi pubblici e sociali. Non mi riferisco agli Uffizi, ma alle chiese, le cappelle, gli edifici comunali, le piazze – anche la piccola Madonna nelle nicchie della strada. Una gran quantità di opere d'arte stavano ancora nei posti per i quali erano state create. Ed era la prima volta che vedevo un'opera d'arte nel proprio contesto, e questo ha prodotto in me una forte impressione". (2003)
"Ho sempre rifiutato drasticamente l'idea di allestire qualcosa nello studio, realizzare una controllata e artificiale rappresentazione del mondo, ho sempre desiderato andare oltre e toccare con la mia camera la cosa vera, anzi l'aspetto più significativo del mio lavoro consiste nell'evidenziare la differenza fra immagine e realtà, in altre parole l'autonomo e ontologico statuto dell'immagine. Sono sempre stato interessato a vedere l'invisibile, senza ricorrere agli effetti speciali. Ed è stata questa tensione che mi ha portato oltre il mondo dell'elettronica, verso l'acqua con le sue trasformazioni e proprietà riflettenti, verso la slow motion con il suo linguaggio soggettivo, e verso vari tipi di camera e
sistemi di registrazione ciascuno con le proprie specifiche proprietà e artifici visuali". (2003)
"L'immagine digitale del computer sta a una distanza di lettura, è la distanza propria del libro che è molto personale, molto intima, al contrario della distanza cinematografica, questo nuovo spazio è lo spazio dell'immersione, non in senso corporeo, quanto inteso come processo intellettuale, come modo in cui si viene coinvolti nelle immagini. E lo si può verificare nel modo in cui lo spettatore si rapporta a lavori come Fire Angel, Birth Angel, Ascending Angel (tutti da Five Angels for the Millennium, 2001), Surrender (2001) e Catherine's Room (2001) e ti rendi conto che è come se sentisse l'esigenza di leggere le immagini come dei testi". (1999)
"I quadri antichi sono stati per me solo il punto di partenza; non sono affatto interessato all'arte di appropriazione o parodica – il mio intento era quello di aggredire, penetrare nel corpo di queste immagini, incorporarle, abitarle, sentirle respirare. Mi interessava la loro dimensione spirituale, non l'aspetto visivo. L'idea generale da cui partivo era di andare alla radice della fonte delle mie emozioni e delle espressioni emozionali. Per la mia educazione artistica, negli anni Settanta, queste erano zone proibite, e anche oggi è così. Dalla mia esperienza di vita, invece, mi trovo completamente in balia di queste potenti forze emozionali, molto più profonde del sentimentalismo che mi avevano insegnato
a evitare". (2003)
"In un'epoca in cui il corpo come autentico strumento di conoscenza è da così tanto tempo ignorato e/o rifiutato, la fisicità di questi nuovi mezzi di comunicazione è stata grossolanamente trascurata (nel cinema, per esempio, questo si deve alla prevalenza dell'aspetto letterario/teatrale). Gli intellettuali continuano a trattare con forte diffidenza le cose che parlano alla mente attraverso il corpo, quasi fossero in grado di capire che andando in questa direzione si arriva in definitiva ad aprire il cancello chiuso a chiave verso la zona proibita delle energie emotive più profonde. Secondo me le emozioni sono appunto la chiave la cui mancanza squilibra ogni cosa, e il loro ritorno nella giusta posizione, tra le facoltà superiori della mente, non avverrà mai troppo presto. Sono fin troppo evidenti i rischi prodotti dal sentimentalismo e dalla pura sensualità del benessere a oltranza. Come ha detto il filosofo americano Jacob Needleman, quando ignoriamo il lato emotivo della nostra natura, volgiamo le spalle alle energie più potenti del nostro essere, all'origine della compassione, la qualità più umana fra tutte, senza la quale non è possibile nessuna autentica forza morale". (1992)
"Prima di tutto ritengo importante riconoscere che non è più ammissibile esaminare le cose unicamente da un punto di vista limitato alla nostra cultura locale, regionale o anche "occidentale" oppure "orientale". Alla fine del XX secolo ci troviamo a condividere una posizione privilegiata, in quanto disponiamo di risorse intellettuali senza precedenti, estese e di facile accesso, raccolte in ogni parte del mondo e nelle più disparate vicende storiche grazie all'assidua fatica di studiosi e traduttori versati in molte discipline. Oggi per valutare un complesso di idee, per analizzarlo, si deve partire dalla sua collocazione nella cultura mondiale". (1992)
"Per la verità vedo un forte legame fra il grande mistico e l'artista. Credo che il mio interesse per i mistici sia nato dal fatto che l'idea stessa di storia dell'arte mi dava qualche perplessità, in un primo tempo a livello inconscio, ma poi mi sono reso conto che l'esistenza di quella che avevo studiato a scuola e che chiamiamo "storia dell'arte" era attestata da indizi circostanziali anziché da prove di fatto. La storia dell'arte esiste perché si è verificata, ma non perché le varie opere, considerate come un tutto, siano collegate fra loro, se non nel senso più vago e generico possibile. Fin dall'inizio dei tempi, per gli esseri umani servirsi delle immagini e crearle è un fatto talmente fondamentale che dobbiamo considerarlo parte essenziale dell'esistenza umana, come il sesso. Dunque, se esiste questa inclinazione naturale a creare immagini, questa cosa detta "storia dell'arte" esisterà sempre, ed esisteranno altrettante opere d'arte, e con forme e intenti e nature altrettanto varie e disparate quanti possono essere i neonati". (1992)