Francesco Giuseppe
Per comprendere pienamente l'evoluzione delle arti nell'Europa predominata dall'Impero asburgico, accennammo che è necessario tenere in considerazione la differenza tra l'apparenza e la sostanza di quanto la società stessa – nel nostro caso, sarebbe meglio dire "lo stato" – ha voluto indicare come principale caratterizzazione.
Belle – epoque e Mitteleuropa, pertanto, devono essere lettere in modo trasversale, ponendo a paragone, diremmo, l'oro con il "vile metallo". Anche perché, come affermavano già i nostri saggi predecessori, è verissimo che non tutto è oro quello che luccica.
Per comprendere, dunque, quest'epoca, è bene soffermarsi sull'immagine che di se stesso l'impero austriaco fu in grado di creare (in parte per naturale inclinazione, altrettanto per astuto calcolo socio politico): il cosiddetto "Mito asburgico" che divenne il titolo di uno dei più bei saggi storico letterari di Claudio Magris, lettura imprescindibile per coloro che si vogliano accostare al secondo Ottocento e primo Novecento europeo, senza pregiudizi, sia che si interessino di arti figurative, di società, di politica.
"La storia del mito asburgico – affermava Magris – è la storia di una cultura che vive la crisi e la trasformazione epocale di tutta una civiltà, non certo soltanto austriaca; una civiltà che, in nome del suo amore per l'ordine, scopre il disordine del mondo" e scoprendolo, aggiungiamo noi, fa di tutto per mantenerlo nascosto, almeno agli occhi delle altre civiltà.
Ecco perché un apparente lavoro tutta leggerezza quale Il Pipistrello simboleggia e riassume i costumi di un'intera società: è la consapevolezza che la finzione, talora, sia più vera del reale, poiché l'uomo stesso crea, in tal modo, un personalissimo mondo dove la recitazione prende il posto delle naturali inclinazioni.
In altre parole, la maschera che assume una società può essere portata volutamente a testa alta, o levata, mantenendo ad ogni modo il busto eretto, oppure chinando il volto: si tratta di far convivere i parvenu parigini di Feydeau con le maschere nude di Pirandello, le ballerine di Degas, che ritraggono un mondo fuggevole nella loro leggerezza, con l'Urlo di Munch e le inquietudini di Musil.
"Felice è chi dimentica
ciò che non si può più mutare"
intona nel suo Trinklied (lo definiamo semplicemente "brindisi", oppure "trenodia sulla felicità"?), Alfred nel primo atto: il motto de Il Pipsitrello, ma, diremmo meglio, il motto della società Viennese. Vi sono sempre ottimi motivi per sfuggire alla realtà e cercare di dimenticarla nell'inebriante atmosfera di una festa: ed è tale attualità, che si riverbera in tanta produzione coeva, a mantenere la sua musica intaccata nel mutare dei tempi.
Nel contesto degli sviluppi socio culturali del periodo, molta dell'arte viennese dell'epoca suona quale espressione del commiato di un'epoca ormai prossima alla fine, del rimpianto per un "mondo" che sta mutando e che non potrà più essere tale.
C'era anche allora, infatti, molto da volere dimenticare.
Solo qualche esempio: all'inizio degli anni Settanta, per noi così significativi, come abbiamo ricordato più volte, a Koniggratzt (meglio conosciuta come "Battaglia di Sadowa"), l'impero asburgico aveva subito una decisiva sconfitta contro la Prussia, perdendo il suo ruolo nella Lega tedesca.
Inoltre, il 9 maggio 1873 la fiducia nel progresso tipica degli "anni dorati" ricevette un colpo precipitoso e foriero
di successivi eventi: n quel famigerato "venerdì nero" il crollo della borsa fece rovinare su se stesso l'intero edificio dei "Grunderjahre" (rivoluzione industriale). Imprenditori e finanzieri persero i loro patrimoni e molti dei risparmiatori dei ceti meno abbienti dovettero accorgersi che avevano affidato, sovente, il loro denaro a veri truffatori.
La tensione sociale e politica crebbe vertiginosamente, mentre le correnti antisemite attecchivano in maniera inquietante (ricordo che gli Ebrei erano i maggiori detentori dei capitali bancari: l'errata equazione tra "ebreo" e "strozzino" aveva vita facile presso la società tedesca – e non solo – del tempo). Questo "venerdì nero", ironia della sorte, seguì di appena una settimana l'inaugurazione dell'"Esposizione Universale di Vienna", con la quale l'impero voleva far mostra della sua potenza economica!
Nel mito asburgico, infatti, confluiscono molte componenti: l'idealizzazione dell'Impero come armonica entità sovranazionale e universalistica, il senso dell'ordine e della gerarchia, la figura dell''imperatore, Francesco Giuseppe, che di quell'ordine era simbolo e garante, una visione edonistica ed epicurea della vita, con epicentro Vienna.
Ma se tale epicentro si scuote?
E' in questi anni che possiamo identificare la nascita dell'estetismo tipico della Vienna "fin de siècle", caratterizzato dalla rinuncia ad agire per un motivo preciso ed una sofisticata sensualità nella quale il rimosso e l'inconscio premevano sempre più marcatamente sulla superficie.
Dall'epoca Biedermeier ad autori come Schnitzler, Hofmannsthal, Kraus, Rilke, Roth, Werfel, Zweig, Musil, Doderer, la cui adesione al proprio tempo ha assunto la forma, tipicamente austriaca, dell'ironia, della critica disincantata e beffarda, si accentua, infatti, tale caratteristica bifronte composta di gioia in superficie e di terrore nell'inconscio (Freud, non a caso, avrà fertilissimo terreno in Vienna per i suoi studi).
Il "gusto per il falso", come lo definì Egon Friedell è il contrassegno dell'epoca: le mascherate erano confuse (volutamente, o inconsciamente) con la realtà, con i sentimenti. Chi si occuperà di levare le maschere?
In modo spietato come forse mai prima, lo faranno gli artisti. Ad esempio, il matrimonio di convenienza nella borghesia, come sarà descritto, anni dopo, da Stefan Zweig nel libro di ricordi Die Welt von Genstern (Il mondo di ieri) è smascherato con una paradigmatica una battuta, lasciata "cadere" nel dialogo, proprio ne Il Pipistrello, quando Rosalinde, moglie di Eisenstein, dice del suo rapporto con Alfred, il tenore italiano di cui è innamorata, "Lui mi ritiene di certo infedele, crede forse che io ami un altro. E pensare che mi sono soltanto sposata!".
Dall'ironia al realismo tragico il passo è breve: Arthur Schnitzler, di lì a pochi anni, ne avrebbe dato ampia dimostrazione nei suoi drammi.
Johann Strauss II: "Wiener Punsch-Lieder", valzer op.131 (Canti dell'ebbrezza)
http://www.youtube.com/watch?v=nLaQl3qeAU4
Johann Strauss II: "Kaiser-Waltz", op.437 (Valzer dell'Imperatore)
http://www.youtube.com/watch?v=o8oSgMpNn2o
Johann Strauss II: "Wiener Blut", valzer op. 354 (Sangue Viennese)
http://www.youtube.com/watch?v=o8oSgMpNn2o
Johann Strauss II: "Geschichten aus dem Wiener Wald", valzer op. 325 (Racconti del bosco Viennese):
http://www.youtube.com/watch?v=_U9_eDDjJDc
Johann Strauss II: "Bei uns Z'haus", valzer op. 361 (Nella propria dimora/patria, leggasi "Vienna"):
http://www.youtube.com/watch?v=14b2dYFV2Jc
Johann Strauss II: "Fledermaus-Quadrille", op.363 (Quadriglia su temi da "Il pipistrello")
http://www.youtube.com/watch?v=gcG6OzEDO_c