A. Gentileschi, presunto autoritratto, Collezione privataA. Gentileschi, presunto autoritratto,
Collezione privata


di Sergio Pesce

Diventata celebre negli anni cinquanta in Italia più per ragioni letterarie che per quelle artistiche, Artemisia Gentileschi assunse il ruolo della donna pronta a salire la scala sociale per affermarsi in un campo, quello della pittura, sino ad allora ad esclusivo appannaggio maschile.
Si deve a Longhi il primo saggio in cui si inizia ad indagare il suo fare artistico in senso più stretto. Ma anche dal titolo: Gentileschi padre e figlia si percepisce come la sua figura, almeno inizialmente, tenda ad essere studiata in maniera inscindibile da quella del padre. Così Artemisia diventa una sorta di proiezione paterna.

La sua formazione è strettamente connessa alla famiglia, composta essenzialmente da pittori. Circoscrivere, come si è fatto in passato, la sua fortuna critica al conseguente clamore legato al tragico episodio dello stupro, subito in giovane età, sarebbe un errore che in potenza porterebbe a semplificare le sue provate qualità artistiche. Quando si studiano le opere di Artemisia viene alla luce il fattore di straordinarietà legato al modello sociale che essa stessa superò.
Il suo cursus risponde ad una vita spesa per l’arte riuscendo ad entrare in contatto con personalità per nulla marginali come Michelangelo Buonarroti il giovane, il Granduca Cosimo II e il Re Carlo I d’Inghilterra.

I suoi dipinti sono evidentemente influenzati dal

Susanna con i vecchioni, Pommersfelden, Collezione SchÓ§nbornSusanna con i vecchioni, Pommersfelden,
Collezione Schonborn

classicismo di Carracci e dal naturalismo delle opere di Michelangelo Merisi che essa riuscì ad apprendere, anche strutturalmente, attraverso la mediazione del padre Orazio che del Caravaggio fu un importante manierista.
Fu lui in sostanza ad educarla a questo mondo e a promuoverla, sottolineandone le doti.

Nel 1612, quando la figlia aveva solo diciotto anni, quindi a termine dell’apprendistato, egli scrisse una lettera alla Granduchessa di Toscana con parole di elogio: “Questa femina, (…) havendola drizzata nelle professione della pittura in tre anni si è talmente appraticata che posso adir de dire che hoggi non ci sia pare a lei (…).”

Il riferimento è alla Susanna con i vecchioni terminata con l’aiuto del padre un anno e mezzo prima. Il dipinto, seppur firmato da Artemisia sembra sconnettersi dal suo successivo modo di lavorare. Per questo motivo si pensa che Orazio abbia sostanzialmente realizzato il tutto, lasciandole probabilmente l’onere di raffigurare Susanna, incanalandola su modelli classici risaltando le forme attraverso l’uso sapiente della luce.

L’episodio dello stupro di poco successivo al compimento di questo dipinto, condusse Artemisia ad un linguaggio diverso, più intimo e al tempo stesso più naturalistico. Il clamore suscitato dal processo che vide indagato Agostino Tassi, costrinse l’accusata a porsi sotto tortura affinché il giudice potesse credere alle sue accuse. Pratica che traeva le sue origini nel mondo medievale.
Tassi era un insegnante di prospettiva e amico del padre, che dopo il fatto lo denunciò per non aver sposato la figlia. La critica volle vedere nella Susanna e i vecchioni una proiezione intrinseca di questo episodio. Lettura

Giuditta che decapita Oloferne, Firenze, Galleria degli UffiziGiuditta che decapita Oloferne, Firenze,
Galleria degli Uffizi

legata ad una visione romanzata dell’artista, in quanto all’epoca della realizzazione della tela la violenza doveva ancor essere subita. Il processo si concluse con una pena lieve per Tassi, promuovendo Artemisia a simbolo delle ingiustizie subite dalle donne.

Il valore intrinseco della vicenda potremmo interpretarlo invece nella Giuditta che decapita Oloferne del 1620. L’artista pone una visione ravvicinata dello spazio accentuandone la drammaticità. La violenza viene stemperata dal volto di Giuditta piuttosto disteso e soddisfatto. Il prototipo, seppur riadattato al volere artistico di Artemisia, risiede nella tela omonima di Caravaggio, oggi alla Galleria nazionale d’arte antica di Roma.
I capelli scuri e la postura della barba hanno fatto pensare al ritratto del Tassi che iconograficamente interpreterebbe Oloferne nel significato intrinseco dato dall’artista. Il Longhi osservando quest’opera rimase sorpreso della brutalità dell’atto dipinto, che difficilmente si accordava all’idea che l’autore aveva del fare femminile. Ai suoi occhi, il risultato emerse talmente ben realizzato che decise di celebrarne l’autrice.

La naturale predisposizione all’aspetto intimo dei soggetti, dettato evidentemente dalla sua natura

Madonna con il Bambino, Roma, Galleria SpadaMadonna con il Bambino,
Roma, Galleria Spada

femminile, mi pare di poterlo osservare nella Madonna con il Bambino conservato presso la Galleria Spada di Roma. Alcuni accorgimenti dati dallo sfumato e dal tratto disegnativo in parte incerto, sottolineano come l’opera sia stata realizzata da una ancor giovane Artemisia, di appena diciassette anni, una decade antecedente all’opera precedentemente analizzata. La scena ritrae la fine dell’allattamento del bambino. Il rapporto del tutto singolare tra madre e figlio viene inteso grazie agli sguardi e alla carezza del pargolo sul volto di Maria in segno di ringraziamento.

Quando da Roma si spostò a Firenze, Artemisia cambiò il suo cognome in Lomi, acquisendo quello del nonno. Compì questa scelta per evitare ulteriori ridondanze sulla sua situazione passata. Qui fu ospite di Michelangelo Buonarroti il giovane, nipote ex fratre del grande artista. Il forte legame si cementò quando la Lomi lo scelse come testimone per le nozze, combinate da Orazio, con l’artista fiorentino Pierantonio Stiattesi.
Il rapporto di amicizia si concretizzò con la commissione della tela dell’Allegoria dell’inclinazione che doveva decorare il soffitto di casa Buonarroti con la non celata intenzione di rendere onore al parente illustre. L’allegoria voleva sintetizzare il talento naturale, e ben si inseriva nel programma adulatorio voluto da Michelangelo il giovane. L’immagine della donna è avvolta nella sua sensualità mentre sorregge con entrambe le mani la

Allegoria dell'Inclinazione, Firenze, Casa BuonarrotiAllegoria dell’Inclinazione,
Firenze, Casa Buonarroti

bussola. La sua figura segue la curva imposta dalla postura. In alto a destra si staglia la stella quale evidente segnale utile per il percorso verso la naturale inclinazione. Le nudità della figura furono successivamente coperte perché ritenute troppo provocanti alla fine del XVII secolo.

L’esempio di Artemisia nella storia dell’arte non fu un unicum, ma certamente la sua biografia è quella maggiormente tenuta in considerazione. Lei stessa avrà parole lusinghiere per Sofonisba Anguissola e per Lavinia Fontana, quasi avesse voluto rivalutare e quindi legittimare il ruolo della donna in questo campo, proponendo, come visto, due pittrici storicamente a lei di poco precedenti.
Qualora si volesse superare lo strato romanzato che per molto tempo ha vestito la sua immagine, ci accorgeremmo della qualità e dello spessore della sua arte.
Artemisia lavorò essenzialmente per una committenza laica, aspetto questo che dimostra l’attenzione dei mecenati verso il suo lavoro sancendo quindi la sua fortuna critica. Il rapporto avuto con il padre non privo di conflitti, potrebbe richiamarsi ad una lettura fruediana.
Fu lui a scrivere un “panegirico” in suo onore inviato poi alla Granduchessa di Toscana.
Denuncia poi Agostino Tassi per la violenza subita dalla figlia e combina il successivo matrimonio della stessa con Pierantonio Stiattesi cercando (secondo il modo di vedere del tempo) di restituirle onorabilità. Legata anch’essa a quel vincolo naturale tra padre e figlia; Artemisia lo raggiunse in Inghilterra, alla corte di Carlo I, per assisterlo nei suoi ultimi attimi.