di Capodimonte
di Sergio Pesce
Il termine studiolo trae le sue origine dalla lingua latina, quindi da studium. Il suo significato indica applicarsi. Il suo uso si diffuse in primis in Italia a partire dal XV secolo, andando ad indicare una piccola stanza dedicata sia alla scrittura che alla lettura.
All’interno solitamente trovava spazio un solo mobile che col tempo assunse il nome di scrittoio. Per avere un’idea del valore anche psicologico di questo luogo possiamo leggere quanto scrisse Machiavelli in una lettera (datata 1513) a Francesco Vettori. “(…)venuta la sera, mi ritorno a casa, et entro nel mio scrittoio(…)et in su l’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango, et mi metto i panni reali et curiali(…)”. L’ambiente ha evidentemente le caratteristiche di uno spazio intimo in cui chi vi accede decide volontariamente di lasciar fuori i problemi legati alla materialità della vita per immergersi nella lettura e nella riflessione.
La proto forma di studiolo si esprimeva in un stanza da letto, con un leggio, un tavolo e dei ripiani dove poter posare carte e codici, il tutto sovente circoscritto da una tenda che aveva il compito di isolare lo studioso dal resto dell’abitazione.
Con il tempo la necessità di esaminare più carte e al tempo stesso di poter scrivere le proprie annotazioni avvalendosi di penne e inchiostri, costrinse l’umanista a pensare a strutture composite che permettesse tutte queste azioni in un unico spazio.
Alte Pinakothe
Nel San Gerolamo di Colantonio, realizzato alla metà del XV secolo, le esigenze del Padre della Chiesa si traducono in un aspetto descrittivo/didascalico delle singole superfici dipinte che dovevano rispondere alle richieste a cui si faceva riferimento poc’anzi. Tali rappresentazioni resteranno legate, quale forma indiscindibile, alle figure dell’universo cristiano come la Madonna e i Dottori della Chiesa.
Una lettura meno razionale ma più sintetica dello studiolo la fornirà, nei primi anni settanta del Quattrocento, Michael Pacher con l’Altare dei Padri della Chiesa.
Lo spazio sapientemente quadripartito permette la visione dei Santi all’interno dei loro studi. A differenza del dipinto di Colantonio, Pacher dipinge solo lo scrittorio che richiama evidentemente all’attività di studio, senza dover inserire le mensole con libri. In particolar modo nella nicchia con Sant’Agostino il “tavolino” si mostra in tutta la sua struttura, dandoci delle importanti
Hans Multscher
informazioni sulla sua natura artigianale.
La lettura, a partire dal Medioevo, divenne un segno di distinzione intellettuale sapientemente ripresa in dipinti che volevano celebrare i Dottori della Chiesa rappresentandoli con mobili che mostrano la loro natura specialistica.
Diversa invece la chiave di lettura interpretativa nel raffigurare la Madonna. Quest’ultima, non essendo una studiosa di professione, spesso venne dipinta davanti ad il solo leggio, mentre accoglie l’angelo dell’Annunciazione. Nel suo caso non vi è la necessità di organizzare uno studiolo. L’intimità della scena viene colta essenzialmente dall’ambientare tale episodio nella sua camera da letto, come vediamo nel dipinto del 1458 di Hans Multscher.
Sul finire del XIV secolo quella che precedentemente poteva esser stata ritratta come una camera da letto con scrittoio e leggio inizia ad assumere l’aspetto di un piccolo ambiente funzionale solo allo studio. Iniziano così a fare la loro comparsa i mobili composti, che riassumono le diverse necessità unendo le funzioni che prima erano dipese da un singolo oggetto.
Come abbiamo visto, in questa nostra ricerca, i dipinti divengono documenti storici ove possiamo studiare e quindi comprendere lo sviluppo tecnico e psicologico dello studiolo. Tale accrescimento deve essenzialmente la sua “progressione” a due peculiarità di non tenue importanza. La prima riguarda il rinnovato spirito di dignità legata al fare dell’uomo e al suo pensiero, che ha inizio con l’Umanesimo. La seconda si lega ad un
National Gallery
concetto pratico di una tecnica, intuita da Brunelleschi e teorizzata da Leon Battista Alberti, che chiamiamo prospettiva.
Quest’ultima assume un significato che va oltre il campo tangibile e si esprime nel concetto teorico nel voler misurare lo spazio. Non solo quello materiale ma anche quello del pensiero, evidentemente partorito in questi studioli. Potremmo riassumere dicendo che esattamente come il solido in prospettiva ha bisogno delle sue proiezioni verso un unico punto per poter mostrare la sua tridimensionalità nel campo del disegno, anche il pensiero perché possa poi essere espresso ha bisogno di essere indirizzato (proiettato) verso un centro (un obiettivo) evidenziandone non solo la natura ma anche il fine. L’unione metafisica di queste due specificità la ritroviamo felicemente espressa nel San Gerolamo nello studio di Antonello da Messina.
Palazzo Ducale
Lo studiolo di Federico da Montefeltro, realizzato negli anni settanta del Quattrocento ad Urbino, è senza dubbio uno tra i più famosi e maggiormente celebrati. Inserito nel primo piano del palazzo ducale, è stato fatto comunicare con la loggia e con la sala delle udienze.
L’uso razionale della prospettiva, con l’evidente intento di realizzare aperture illusionistiche verso altri ambienti, sembra opera del giovane Bramante. Sopra le tarsie lignee, di Francesco di Giorgio, trovano spazio ben ventotto ritratti dei savi del sapere antico e contemporaneo, realizzati da Giusto di Gand. L’effetto visivo dello studiolo lascia stupefatto lo spettatore. Azione che in sostanza pone in antitesi la funzione stessa della stanza che era nata, evidentemente, per il solo diletto di Federico sottolineando con le sue peculiarità l’intenzionalità intima della lettura e della riflessione. Fu proprio in questi luoghi del pensiero che nacquero quei programmi iconografici che poi gli artisti resero celebri, grazie alle loro abilità, attraverso le tele ma non solo.
Con l’inizio del XVI secolo questi “contenitori” del sapere iniziarono a custodire oggetti preziosi, dando vita ad una forma particolare di collezionismo. Lo sviluppo di questa tendenza portò a considerare questi studioli delle vere e proprie Wunderkammer (camere delle meraviglie), ove il mito e la scienza iniziarono a legarsi in maniera non sempre consona.