Busto di Carlo de CristoforisBusto di Carlo de Cristoforis

Sembrerà strano che la città di Varese rispondesse in modo così sollecito: nell'Ottocento, la popolazione era sensibile alla causa nazionale, tanto è vero che, già, nel 1847, si era sollevata contro la dominazione straniera, quando, l'allora feldmaresciallo Radetzky, che avrebbe represso i Milanesi, l'anno successivo, in occasione delle "Cinque giornate", aveva comunicato all'Austria in un resoconto la tumultuosa "disobbedienza" dei cittadini, atteggiamento che il vecchio Metternich bollò con l'espressione "Saturnali di Varese".

"Scarsissimi invero, troppo lesinati da burocratica, per non dir filistaica (1) sfiducia nelle forze dell'insurrezione popolare – scrive Luzio – erano i mezzi forniti a Garibaldi per compiere la scabrosissima impresa di mettersi allo sbaraglio su territori irti di baluardi e di armati (2). Non aveva artiglieria, non quasi cavalli: non possedeva altro tesoro che le sue impensate geniali energie, la sua inesausta fecondità d'espedienti, l'entusiasmo idolatra di giovani che si sentivan trascinati a correr giulivi alla morte, dinnanzi ai suoi sguardi, come se bello – scrisse uno di loro, il povero Bandi, trucidato a Livorno – avesse ad essere e divino il cadere ammirati e guardati da lui".

Attorno a Garibaldi, in quel maggio del 1859, vi erano alcuni compagni giunti dalle Americhe, e, tra i

Villa Recalcati, nel 1859 proprietà della famiglia MorosiniVilla Recalcati, nel 1859 proprietà
della famiglia Morosini

"Cacciatori delle Alpi" (3), i superstiti fra quegli stessi che lo avevano accompagnato nell'impresa per la difesa della "Repubblica Romana" nel 1849 (4): Nino Bixio e Francesco Nullo.
Ai veterani del '49, si aggiungevano alcuni varesini, Carlo De Cristoforis, i fratelli Bronzetti, Ernesto Cairoli (5), Vincenzo Adamoli, nonché altri provenienti dal Piemonte e da altre terre della Lombardia e del Veneto destinati a divenire famosi sia per le imprese in questione, sia per la loro attività culturale e politica dopo l'Unità, come Emilio Visconti Venosta, Giacomo Griziotti ed Ippolito Nievo (6), il poeta soldato che, più a lungo degli altri, sostò a Varese dove, tra l'altro, compose molti versi che confluirono più tardi nei suoi "Amori Garibaldini".
A lui fu commessa la cura di portare in salvo i pochi pezzi che erano stati finalmente concessi ai "Cacciatori delle Alpi" e farli entrare in città, con alcuni compagni: così Nievo arrivò prima di Garibaldi nel borgo e vi soggiornò per alcuni giorni.

A fianco di Garibaldi stava a rappresentare le fasi politiche cavouriane proprio Emilio Visconti Venosta, al quale l'acume del conte aveva affidato un compito assai rischioso, rifiutato da molti altri politici più prudenti, giacché si sarebbe pagato, nel caso di un esito infelice, con il capestro. Infatti, Visconti Venosta doveva fare insorgere i paesi di Lombarda, organizzando e disciplinando la rivoluzione alle spalle dell'esercito austriaco quale Commissario regio di Vittorio Emanuele.
Tramite Visconti Venosta Cavour mandò ai Varesini questo dispaccio da trasmettere alla popolazione: "Tutto oggi è disciplinato in Italia: la quiete al pari dell'azione. L'insurrezione Lombarda sarà animata da quale nuovo e mirabile spirito italiano che, col segreto della concordia, ci farà trovare il segreto della fortuna. Nessun disordine verrà a turbare il sublime spettacolo della libertà; nessun impeto cieco verrà a disordinare l'organismo civile del paese); nessuno spirito di improvvida reazione presumerà di considerare come il trionfo di un partito quello che invece è il trionfo di una società tutta intera".

L'attuale Villa Panza; nel 1859 ancora Palazzo LittaL'attuale Villa Panza; nel 1859 ancora Palazzo Litta

Gli armati, moltissimi cittadini comuni, tennero testa agli Austriaci, piombati per punire l'aver infranto i decreti di Gyulai, organizzando, dapprima, la resistenza ed i soccorsi per i combattenti, quindi, quando si scatenò la ferocia repressiva del feldmaresciallo Karl von Urban (7) che mise a ferro e a fuoco la città prima della capitolazione definitiva, nel combattimento presso Malnate.
Sulla viva partecipazione dei cittadini"Nessuna testimonianza – prosegue a questo punto Luziopuò valere quella di Emilio Visconti Venosta, tanto più preziosa allo storico per l'autorità dell'uomo rifuggente da declamazioni e da piaggerie. Egli, la sera del 26 maggio" ringraziava la popolazione con il seguente proclama: "Il nemico è in ritirata. I Cacciatori delle Alpi si sono battuti con un coraggio degno del Prode che li comanda e della causa che difendono. E voi avete tenuto un ammirabile contegno. Tutta la gioventù è accorsa a prendere un fucile, a domandare la battaglia, a difendere le barricate. Ogni famiglia gareggiò nel porgere soccorsi ai combattenti e mezzi alla difesa. La Lombardia seguiterà il vostro esempio".

Nella breve descrizione si vivono i tratti salienti del moto che serpeggiò per Varese a dieci anni di distanza dalle "Cinque giornate" milanesi: le barricate, la gente nelle strade con il fucile imbracciato, le famiglie che portano aiuti sono il sintomo di una città in fermento (9).
Fra i primissimi caduti si contava Ernesto Cairoli che, pochi giorni prima della battaglia, quasi presago della fine, aveva vergato il suo testamento (10), aprendolo con quest'apostrofe: "Raccomando anzitutto al Sommo Iddio degli eserciti la causa dell'Italia e credo che sia per trionfare, perché giusta e santa", siglandolo, infine, con quest'altra: "Il cielo m'ajuti (sic), conservi lungamente in vita mia madre e i miei fratelli. Salvi sempre per l'Italia Libera ed Indipendente".

Di lui e dei sentimenti suscitati dalla morte del giovane, scrisse lo stesso Garibaldi (11): "Un figlio dell'incomparabile madre dei Cairoli (12), la matrona pavese, Ernesto, il più giovane dei tre ch'essa aveva mandati, cadeva a Varese combattendo, sul cadavere di un tamburino nemico che egli aveva ucciso di baionetta. Mi passò per la mente tutta l'afflizione di quella madre sì buona, sì affettuosa per i suoi figli per chi aveva la fortuna di avvicinarla! Il mio sguardo s'incontrò lo stesso giorno con lo sguardo del maggior fratello, Benedetto, valoroso e modesto ufficiale, caro come tutta quella cara famiglia; i suoi occhi si fissarono sui miei, ma una sola parola non uscì da ambedue. Solo io lessi in quel malinconico sguardo "Mia Madre" e pensai io pure a tutta la somma di dolori che si preparavano a quella generosa. E quanti altri, di cui non conoscevo le madri, giacevano su quel campo di strage o mutilati, o morenti. Le donne di Varese supplivano alle madri dei nostri feriti, tra i quali non s'udiva un lamento, o se pur s'udiva tra gli operati dal ferro chirurgico era il grido di "Viva l'Italia!". Anche i feriti nemici dividevano le cure di quelle donne sante (13)".

Emilio Visconti VenostaEmilio Visconti Venosta


Vale la pena, a questo punto, di riportare una parte di quello che scrive il Luzio a proposito del passo appena letto di Garibaldi. "Di tanta umanità verso i prigionieri e i feriti austriaci, la testimonianza più commovente mi venne fatto di leggere ripassando vecchi giornali, per racimolare notizie sulla sottoscrizione aperta da Garibaldi nel settembre del '59 per un milione di fucili onde armare la nostra risorta Nazione per le future conquiste nell'Italia meridionale e centrale. Tra coloro che offrivano a Garibaldi il loro obolo per creargli un arsenale di guerra vi furono molti austriaci convalescenti negli ospedali lombardi e quella manifestazione costituiva, nella sua semplicità la prova più splendida dell'entusiasmo e della riconoscenza che la magnanimità di Garibaldi aveva ispirato agli stessi nemici…
A che ricordare gli ostrogoti proclami, ostrogoti nella sostanza e nella forma che bistrattava la nostra lingua, inassueta (14) a tali brutalità sanguinarie di espressione, i proclami emanati dall'Urban per imporre estorsioni che si sarebbero appena potute consumare in una città di centinaia di mila abitanti e che furono mandate felicemente a vuoto dagli abili e coraggiosi stratagemmi del pretore Sopransi (15)?
A che ricordare i ludibri di morte cui furono esposti i vostri (16) ostaggi, sacerdoti i più, chiamati dalla gioia oscena del bombardatore ad assistere alla pioggia delle granate e de'razzi scagliati sulla desolata Varese, mentre Sua Ecc. il Maresciallo cioncava allegramente il vino predato (17) e beava le orecchie coi concenti delle arie patriottiche italiane suonate a scherno dalla banda militare austriaca tra gli sghignazzamenti di chi, come al tempo degli Unni, dimenticava ogni ritegno d'umanità".

Pure con alcuni momenti di retorica, che tradiscono l'origine di prolusione, questo passo di Luzio è molto importante perché ci permette di affrontare uno spaccato reale di quanto avvenne in città, in mancanza di una gazzetta periodica, oltre che di conoscere le differenti reazioni che seguirono a questi episodi, tra le quali non deve essere trascurato che anche alcuni degli stessi austriaci "sposarono" la causa italiana, fatto solitamente occultato dalla storia ufficiale.
Di certo, con la Battaglia di Biumo si aprì chiara la strada verso la disfatta austriaca di Magenta, il 4 giugno, cosicché gli alleati poterono entrare trionfanti a Milano, gesto simbolico e concreto al tempo stesso di una Lombardia per lo più pronta ad accogliere il governo sabaudo.

Note.

 

  1. "Filistaica" sta per "filistea", nel senso di "gretta", "retriva".
  2. In questo punto vi è un'importante nota dello stesso Luzio sull'annosa questione dell'ostile rapporto tra Cavour e Garibaldi. Per chiarire e fugare ogni dubbio, ormai, è opportuno citare un passo dalla nota lettera di Cavour all'avvocato Cabella, in data 14 marzo 1859: "Il Governo è deciso ad adoperare tutte le forze vive che l'Italia racchiude. Ma appunto per non rinnovare gli errori del 1848, conviene conciliare l'audacia con la prudenza… Camminiamo d'accordo con Garibaldi che dimostra un senno politico maggiore d'ogni elogio. I volontari saranno ordinati senza precipitazione, ma senza inerzia". Il De La Rive, nei suoi bellissimi "Souvenirs" su Cavour (Parigi 1862, pag. 391) ricorda d'avere più volte, nell'aprile del 1859, udito lo statista italiano rammaricarsi di "non poter ottenere le uniformi, le munizioni, i fucili che gli erano stati promessi per i volontari", poiché, al loro concorso, accanto alle truppe "ufficiali" franco-sabaude teneva immensamente tanto che "sulla carta topografica studiava la via che Garibaldi non avrebbe tardato ad aprirsi".
  3. Come più tardi "I Mille", così fu chiamato l'esercito garibaldino che si occupò delle imprese nel Settentrione lombardo.
  4. Il 29 marzo 1849 a Roma si era insidiato il triumvirato composto da Mazzini, Armellini e Saffi, che aveva tentato una politica di conciliazione con la "reazione" papalina, dopo la fuga di Pio IX: essa non valse ad impedire un intervento armato da parte dei Francesi in soccorso al pontefice. Così, in aprile, il governo Francese decise una spedizione militare contro la "Repubblica Romana": Luigi Bonaparte addusse la necessità di prevenire un possibile intervento austriaco, in realtà tendendo a guadagnare nuovamente l'appoggio degli ambienti cattolici. Le truppe guidate dal generale Oudinot, sbarcate a Civitavecchia, iniziarono così l'occupazione del territorio, sferrando un attacco, tra il 29 ed il 30 aprile, contro i volontari repubblicani che difendevano Roma, ma furono respinti dagli uomini di Garibaldi. Lo stesso avvenne in 3 giugno, finché l'esercito francese, nel mese di luglio, occupò la città, disperdendo i circa 5000 uomini di Garibaldi, molti dei quali trovarono la morte. Il 3 giugno era stato ucciso il capo di stato maggiore di Garibaldi, il varesino Francesco Daverio, e, da quella data, per un mese, era stato in lunga agonia Goffredo Mameli: la cancrena lo finì nella giornata del 6 luglio. Altro varesino, sebbene d'adozione, che morì nell'impresa romana, oltre al citato Enrico Cairoli, fu Emilio Morosini, figlio di una delle case nobiliari milanesi più in vista che, a quel tempo, possedeva a Varese Villa Recalcati, l'attuale sede della Provincia, dove soggiornava dall'aprile all'ottobre d'ogni anno.
  5. Ernesto Cairoli (1832 – 1859) è il secondogenito ed il più noto dei cinque fratelli Cairoli, poiché fu accanto a Garibaldi sia nell'impresa di Roma, nel 1849, dove perse la vita l'altro fratello, Enrico (nato nel 1827), sia in quella di Varese. La famiglia era d'origine pavese; gli altri fratelli erano Benedetto, Luigi e Giovanni. Di lui, Garibaldi, sempre nelle "memorie" ricorda l'ardimento e lo descrive morente "su di un tamburino austriaco che aveva egli stesso infilzato". Di lui e d'altri compagni varesini che, nel totale di 27, persero la vita nella "Battaglia di Biumo", si può leggere in "Ricordi di gioventù" d'Emilio Visconti Venosta, Milano, Cogliati, 1904.
  6. Ippolito Nievo (1831 – 1861), senza dubbio il personaggio più noto per la sua attività letteraria che consta del capolavoro "Le confessioni di un ottuagenario" (il cui titolo originale era "Le confessioni di un Italiano"), pubblicato solo sette anni dopo la morte dell'autore.
  7. Karl von Urban (1802 – 1877), feldmaresciallo austriaco molto noto per la sua crudeltà. Si ricorda il fatto noto come "Strage della famiglia Cignoli", avvenuta il 20 maggio 1859 a Torricella Verzate in Provincia di Pavia. Avendo i suoi sottufficiali trovato nell'abitazione dei Cignoli polvere da sparo per poche armi, che sarebbero servite alla causa degli insorti, egli fece giustiziare tutti i sette membri della famiglia e due fittavoli la mattina stessa. Questo fatto è considerato come la miccia che inasprì il modo di combattere degli stessi "Cacciatori delle Alpi" nei confronti del nemico a campo aperto. Gli storici tendono a pensare che il suo suicidio avvenuto nel capodanno del 1877 sia legato ai ricordi delle stragi effettuate quasi vent'anni prima in Lombardia.
  8. Qui, basta ricordare che Garibaldi aveva già tentato di attaccare battaglia il 23 maggio, ma non aveva ricevuto risposta da parte degli Austriaci. Fu così che i fatti si protrassero, in una calma solo apparente a Varese, fino al primo pomeriggio del 26 maggio. Urban, però, era già stato sconfitto da un battaglione dei "Cacciatori delle Alpi", il giorno prima a Somma Lombardo. A Varese la battaglia vide gli eserciti così schierati: da una parte stava il battaglione piemontese guidato da Enrico Cosenza; all'opposto, si trovava quello condotto da Giacomo Medici. Al centro, in Varese, era posto quello sotto il comando di Nicola Ardoino, assieme a Garibaldi ed alle due schiere di riserva, che furono da subito utilizzate, guidate entrambe da Bixio. Il combattimento, molto feroce proprio nella Castellanza di Biumo, si protrasse fino a tardo pomeriggio, quando gli Austriaci indietreggiarono fino ai pressi di Malnate, lì capitolando. Del combattimento rimane un segno tangibile all'interno del cortile di Palazzo Orrigoni Litta Modigliani, oggi di proprietà ecclesiastica: si tratta del buco lasciato da una palla di cannone austriaca, presso la trabeazione del sottotetto.
  9. In Visconti Venosta "Ricordi di gioventù", cit.
  10. Sempre nelle "Memorie".
  11. Adelaide Cairoli.
  12. Testimonianza molto bella ed interessante anche per il comportamento tenuto dagli Italiani nei confronti degli Austriaci: i feriti furono tutti trattati ugualmente. In quel momento, dopo l'evento del 26 maggio, rimangono solo uomini, nella loro debolezza e individualità.
  13. "Inassueta": termine d'uso affatto raro dal latino "insuetus" che significa "non avvezzo".
  14. Tullo Sopransi, d'origine mantovana, era pretore a Varese: come ricorda Luzio, egli va segnalato per la scaltrezza e per la fermezza con cui all'Urban, che chiedeva "tre milioni di lire" da pagare in poche ore, seppe far accettare un'obbligazione cambiaria resa inesigibile, pochi giorni dopo, dalla vittoria di Magenta. Sui fatti di cui fu testimone ed attore il Sopransi stese un chiaro rapporto utilizzato dal Della Valle nel suo libro "Varese, Garibaldi e Urban", Varese, Tipografia Carughi, 1863.
  15. Ho trascritto il testo tal e quale senza modificare il punto: si riferisce ai Varesini ai quali fu indirizzato in origine, nel 1907, il discorso.
  16. Sull'inclinazione dell'Urban ai piaceri del vino fino all'ubriacatura fece satira lo stesso Nievo che, con arguzia, dedica al fatto una lirica degli "Amori garibaldini". Dopo avere messo in risalto la debolezza del feldmaresciallo per le cantine di Varese – tanto da scassinare di sua mano i ripostigli "di vino prelibato" – conclude con un'apostrofe di stampo bernesco, con il promettergli di far fede "in terra e in Paradiso / che se molto hai bevuto, hai poco ucciso". Come sappiamo, in realtà non poco uccise, ma più mordace, in tal senso, suona il testo di Nievo.