di Sergio Pesce

 

Figlio di uno scalpellino dedito alla lavorazione delle lapidi funerarie, Arno Breker imparò presto le peculiarità del materiale scultoreo, nel negozio paterno. L’interesse e la curiosità verso quest’arte vennero “alimentati” dallo studio dell’opera di Auguste Rodin e in particolar modo dalla scultura L’età del bronzo, che ebbe modo di vedere (appena quindicenne) presso il museo di Düsseldorf.
L’ammirazione per lo scultore parigino lo portò, ad un certo punto della sua carriera, a scelte formali che difficilmente possiamo separare dall’intenzione artistica di imitarne lo stile. La sua personalità si formò attraverso il libero studio delle epoche e degli artisti a lui più congeniali, ammirando in particolar modo la scultura greco-romana e quella rinascimentale, facendosi colpire dal genio di Michelangelo, per il quale egli nutrì un’ammirazione pari, se non addirittura superiore, rispetto a quella provata per Rodin.

La volontà di frequentare i corsi accademici di Adolf von Hildebrand si inserirono agevolmente nella desiderio di approfondire i suoi studi michelangioleschi. Costretto ad abbandonare il progetto a causa di motivi economici, riuscì comunque a studiarne la scultura attraverso Hubert Netzer.
Dalla metà degli anni venti le sue opere iniziano a mostrare una sempre più dominante chiarezza formale assieme ad una accentuata simmetria del corpo umano. Il suo evidente interesse verso la scultura greco-romana, derivante dalla cultura neoclassica maturata all’Accademia di Düsseldorf, portò a riconoscere negli scultori classici l’abilità di tradurre in perfezione formale l’idea di bellezza. Considerazioni che portarono alla luce le tesi di Winckelmann (J.J. Winckelmann, Storia dell’arte dell’antichità, Dresda 1764); il quale ebbe modo di dichiarare che tali peculiarità, insite nell’arte greco-romana, la determinavano come superiore. Tale

eccellenza formale, che lo storico tedesco tradusse con il termine “bellezza”, avendo raggiunto la sua punta massima non poteva più essere superata. Asserzione che lo spinse a considerare l’arte successiva come un’azione corrotta, costretta a sostituire l’invenzione con l’imitazione. Tale ricerca della “perfezione”, riscontrata nelle tesi neoclassiche e individuata in un periodo ben determinato, emancipò la voglia di rifarsi all’antico imitandone gli intenti critici.

Gli studi compiuti sulla scultura classica uniti all’interesse per i busti di Aristide Maillol, porteranno Breker in Nord Africa a far visita allo sculture francese, con il quale rimase legato da amicizia sino alla morte di quest’ultimo, nel 1944.
Nel 1927 si trasferì a Parigi ove ebbe modo di entrare in contatto con le più importanti personalità artistiche dell’epoca, tra cui i coniugi Delaunay e Man Ray che decise di ritrarlo. In questo periodo parigino egli dimostra la volontà di reinterpretare la lezione di Rodin riportando in scultura ogni lineamento del volto, ammettendo come la sua attenzione sia volta allo studio della struttura del viso quale fulcro dell’esistenza umana, come emerge ne Il Ritratto di Moissey Kogan.

Il 1929 segna un anno importante per la sua fortuna critica perché esponendo al Salon d’Automne venne notato dal mercante d’arte Alfred Flechtheim (amico del più famoso Kahnweiler, ritratto da Picasso) che, in accordo con l’artista, decise di occuparsi della vendita dei suoi lavori. L’operosità del mercante ebbe da subito effetto sulla produttività di Breker, tanto che a partire dagli anni Trenta le commissioni iniziarono ad essere più consistenti. A coronamento di un periodo particolarmente florido per la sua attività, lo scultore vinse, nel 1932, il Premio Roma indetto dal Ministero della Cultura prussiano che gli permise di trascorrere un anno a Villa Massimo.
Oltre alla visione delle antichità romane egli ebbe modo di trascorrere del tempo anche a Napoli e a Firenze, ove

poté osservare per la prima volta dal vero le opere di Michelangelo.
Le opere di questo periodo fanno emergere una personalità che ha deciso la strada da seguire imponendosi di trasportare in scultura tutti gli stimoli ricevuti. Impulsi che trovano un felice accordo tra la forza della scultura michelangiolesca e la rigida formalità dello studio anatomico.

Nel 1934 Breker torna in Germania dopo una serie di inviti ricevuti da Grete Ring, proprietaria della galleria Cassirer e dallo zio di questa il pittore Max Liebermann. La continua aderenza all’ideale di bellezza tradotta in una ponderazione formale gli fanno ottenere delle importanti commissioni anche dal regime da poco insidiato. Nel 1936 in occasione delle Olimpiadi realizzò due statue, poi collocate nel Reichssportfeld, l’Atleta di decathlon e La Vittoria, che gli permisero di consolidare la sua personalità artistica ottenendo onorificenze dal Reich.

Le opere di Breker, da sempre basate essenzialmente sulla personificazione del Dio greco-romano carico di atteggiamenti solenni, venne letto con l’ideale di bellezza promosso dal Fűhrer. Tale legame contradditorio promosse ulteriori commissioni “politiche” tanto che il Ministero del Reich per l’Informazione e la Propaganda gli affidò la realizzazione della statua di Prometeo. Tale rapporto con il potere, che Breker sconterà per tutta la vita, iniziò ufficialmente nel 1938.

Attraverso la mediazione di Joseph Goebbels ottenne incarico da Adolf Hitler di occuparsi del rinnovamento urbanistico della città di Berlino assieme all’architetto Albert Speer. Compito che l’artista accettò, cercando un connubio con l’architettura che aveva avuto modo di approfondire, negli suoi anni giovanili grazie alla figura di Wilhelm Kreis. Nel 1940 accetta la commissione di due sculture Il Portatore di spada e Il Portatore di fiaccola entrambe poste davanti alla Cancelleria del Reich. I nomi furono successivamente cambiati da Hitler rispettivamente con L’Esercito e Il Partito, suggerendo il significato intrinseco che l’opera doveva avere. Forse per questi motivi Breker non dimenticò mai la lezione di Maillol continuando a spendersi nella realizzazione di

busti, che avevano evidentemente una dimensione più intima e meno forzatamente legata alla propaganda, che comunque gli offriva una mole di lavoro ragguardevole, tanto che per rispondere puntualmente a tutte le offerte Breker utilizzò due studi (a Berlino) avvalendosi dell’aiuto di un centinaio di allievi provenienti da diversi paesi d’Europa.

La sue opere gli permisero di diventare membro d’onore dell’accademia prussiana di belle arti, ove proprio qualche anno prima c’era stato l’allontanamento del preside nonché suo vecchio amico Max Liebermann, a causa della sua fede ebraica. Non si hanno elementi per evidenziare il ruolo che Breker ebbe nella faccenda ma certo è che la successiva richiesta del Führer che lo volle come guida nella città di Parigi il giorno seguente all’armistizio franco-tedesco, individuò lo sculture tedesco nella sfera politica, indirizzando la critica d’arte, successiva al conflitto mondiale, verso un allontanamento e una emarginazione dei suoi lavori.

Nei primi anni Quaranta le sue sculture oramai tradivano gli insegnamenti michelangioleschi proponendo una cura estrema dell’anatomia, andando ad identificare opere come Camerati quali risultati di “bottega”, risultando significativamente diversi rispetto alla grazia e alla ponderazione formale riscontrata in Apollo e Dafne realizzato nel 1930.

Al termine del conflitto, con la sconfitta della Germania, entrambi gli studi vennero distrutti dagli alleati. Successivamente il governo comunista della Germania dell’Est confiscò tutte le proprietà dello scultore, mettendo all’asta le opere con la precisa norma che proibiva a qualsiasi tedesco di poterle acquistare. Negli anni Cinquanta, dopo una breve parentesi in cui si dedicò agli acquerelli, Breker decise di realizzare una serie di sculture astratte per poi assecondare il suo ritorno all’ideale classico.

Analizzando la fortuna critica di Breker emergono alcune considerazioni che portano certamente l’artista entro certi canoni più consoni al suo fare, tralasciando evidentemente le implicazioni politiche che per molto tempo (se non ancora oggi) ne hanno decretato una certa emarginazione. L’attrice Marlene Dietrich ammise candidamente di aver sognato più volte gli uomini che Breker scolpì, mentre in occasione dell’inaugurazione del Museo Dalì a Figueres l’artista surrealista dichiarò pubblicamente che la presenza dello scultore tedesco identificava quello che chiamò “il triangolo d’oro”, composto da Dalì stesso, Breker e Fuchs.

Nello studio delle sue opere il ruolo della critica sarà invitata ad eclissarsi davanti a posizioni che si pongano in favore o in contrasto con la sua figura. Ritengo quindi calzante chiudere questo affondo citando, non a caso, lo storico e partigiano francese Marc Bloch, che nell’ultima fase della sua vita, terminata tragicamente con la fucilazione, scrisse: “Ci sono due modi di essere imparziali: quello dello studioso e quello del giudice. Essi hanno una radice comune, che è l’onesta sottomissione alla verità. (…) Quando lo studioso ha osservato e spiegato, il suo compito è concluso. Al giudice tocca ancora emettere la sentenza, rendendosi imparziale. E lo sarà, in effetti, dal punto di vista dei giudici. Ma non da quello degli studiosi. “(Marc Bloch, Apologie pour l’histoire ou Métier d’historien).