"Jean Michel Folon era un uomo buono, molto buono. Gentile, simpatico, seducente. La sua bella voce diceva sempre cose gradevoli perchè il suo cuore, la sua mente erano quelli di un uomo ottimista e profondo, un uomo che vedeva e anche quando non la vedeva sceglieva caparbiamente la parte piena del famoso bicchiere.
Era un uomo profondo e profondamente semplice, la semplicità dei poeti perchè Folon era un poeta.
Folon era belga come Brel e Simenon, come Brel sapeva parlare d'amore, come Simenon sapeva racconatre l'uomo, l'uomo qualunque, Quelq'un come il titolo di alcune sue opere.
Per un po' di tempo ho avuto in galleria una piccola scultura. L'avevo messa su un ripiano di pietra, davanti a un muro bianco, non era grande, più o meno alta 50 centimetri. Quando entravo la mattina e accendevo le luci mi appariva subito, era là, era la prima cosa che vedevo. Aveva forza, occupava lo spazio, tutto il resto era in secondo piano. Mi appariva di profilo quel suo uomo con il cappello e una specie di cappotto anonimo, un uomo qualunque.
Ciò che mi colpiva di più era la curvatura delle spalle, leggermente piegate in avanti sotto un peso invisibile, era commovente.
L'ultima volta che ho incontrato Folon è stato a Parigi, era il 1° marzo 2004, il giorno in cui compiva 70 anni. Era un caso, io a Parigi per lavoro e lui anche. Abbiamo pranzato insieme e poi, visto che io restavo e lui doveva partire, ho deciso di accompagnarlo all'aeroporto. Prima di salire in taxi ho cercato una pasticceria dove ho scelto un piccolo dolce. In taxi gli ho detto di chiudere gli occhi per qualche istante, il tempo di mettere una candelina e accenderla. Arrivati a Orly è sceso, si è allontanato e poi si è voltato a salutare ancora e ancora, faceva sempre così sino all'ultimo momento.
Quando non si è più voltato il mio sguardo è andato alle sue spalle, le ho viste uguali a quelle della scultura, uguali a quelle di "qualcuno".
Dal testo di Cristina Taverna – introduzione alla mostra aperta a Voltorre