C'erano cose che non sapevamo sull'opera di Mantegna "Cristo morto". Sapevamo che l'aveva realizzata senza avere alcun committente, solo per se stesso. E questo è già un fatto abbastanza inusuale. Che il quadro era destinato a rimanere nascosto e deposto nel sepolcro dove erano stati tumulati due suoi figli. Sapevamo che si tratta di una pittura a tempera su tela, realizzata senza preparazione, praticamente di getto. Ora, grazie ad alcuni documenti inediti, emersi a seguito di una ricerca della Soprintendente di Brera, Sandrina Bandera, si viene a sapere che, in questa opera, c'è anche tutto il dolore di un padre per la perdita del proprio figlio.
Cerchiamo di capire perché. Mantegna, oltre ai tre figli, ne aveva altri due, morti come abbiamo detto prematuramente, tra il 1480 e il 1484. A uno di essi l'artista veneto sembra fosse particolarmente legato, anche perché il giovane dipingeva e mostrava di avere grandi doti pittoriche. E, forse, il padre pensava di potergli trasmettere la sua arte. Da un carteggio dell'epoca emerge, inoltre, che qualcuno aveva suggerito ad Andrea di portare il ragazzo a Venezia, dove viveva uno specialista che forse avrebbe potuto curarlo. Non sappiamo se il consiglio sia stato seguito ma, in ogni caso, il giovane non riuscì a sopravvivere al suo
destino.
Ecco, dietro il "Cristo morto" di Mantegna c'è questo retroscena doloroso: la sofferenza di un padre che sente di dover trasferire sulla tela la sua angoscia. Un fatto intimo, personale, lacerante. Certo, egli è legato ad alcuni canoni classici dei cosiddetti "Compianti" ma poi il soggetto è rivisitato con assoluta libertà, non solo di prospettiva; la libertà, che conduce alla ricerca di una sofferta pace interiore e che ha qualcosa di estremamente moderno. Sono tre le persone che vegliano il Cristo, non sette come vuole l'iconografia classica in questi casi. Il viso di una di esse appare tagliato a metà, e forse potrebbe essere proprio quello del figlio. Mentre alcuni hanno voluto vedere riflesse nelle sembianze del Cristo morto quelle dello stesso artista. Mantegna, in altri termini, cerca di immedesimarsi nel Cristo il cui viso non è più in sofferenza ma mostra una grande pace perché ha raggiunto l'eternità e per l'Uomo che crede si è venuta concretizzando una grande rivelazione, attraverso il Suo sacrificio "la morte è definitivamente morta".
Messaggi profondi, inquietanti che il nuovo, suggestivo allestimento scenografico che è stato realizzato presso la pinacoteca di Brera dal regista Ermanno Olmi mette in evidenza in modo particolare. Prima di vedere il dipinto di Mantegna, però, si passa davanti all'opera di Giovanni Bellini "Pietà": l'artista usa tratti meno
duri del cognato, immerge la scena in una luce fredda ma al tempo stesso morbida, mentre alle spalle della Vergine e San Giovanni campeggia un cielo livido, straziante. Comunque sia, sentiamo egualmente il gelo del corpo senza vita di Cristo attraverso la donna che lo abbraccia per l'ultima volta, mentre la mano del figlio di Dio sembra quasi fuoriuscire dal dipinto per avvicinarsi a noi, in un gesto di speranza che non dovremmo rifiutare.
Dopo questo passaggio, lo spettatore si trova davanti a un grande monolito nero, sul quale è posta la tela del "Cristo morto"; un dissuasore curvilineo, voluto espressamente dal regista, conduce ogni persona a godere la visione frontale del dipinto senza avere a fianco altre persone. Una sorta di privilegiato rapporto personale, quasi a favorire un intimo raccoglimento dinanzi a un'opera che racchiude il fascino del mistero della morte e della vita.
Su questo lavoro, Skira ha realizzato un agile catalogo che contiene tra gli altri testi di Ermanno Olmi, Sandrina Bandera, e un'introduzione del filosofo Giovanni Reale.
Info.:
dal 3 dicembre alla Pinacoteca di Brera
Milano, via Brera 28
è POSSIBILE CONSULTARE IL LINK