Nel Seicento fu terminato il campanile (di cui oggi non rimane traccia) e vi si pose una campana fusa e benedetta in San Vittore. Nel corso del XVII secolo il monastero crebbe di importanza; vi si trovano, come suore, ragazze delle famiglie varesine più in vista che arricchiscono il convento con le loro doti; nel 1774 il convento ospitava 58 sorelle (era il convento più numeroso della città).
I migliori per San Martino. È nel 1722/23 che la chiesa fu decorata come noi oggi possiamo ammirare; alla sua decorazione lavorarono i principali artisti varesini del tempo: nel 1722 i fratelli Giacomo e Antonio Francesco Giovannini (attivi a Varese tra il 1717 e il 1735) affrescarono le architetture illusionistiche in cui erano specializzati: notevole quella dipinta sulla volta del presbiterio; Giovanni Antonio Speroni – che era anche il capomastro dei lavori – realizzò gli stucchi; il Magatti dipinse la volta con la Gloria di San Martino, la cappella della monache (ora distrutta); nel presbiterio affrescò i quattro angeli che reggono in mano i simboli della Messa: turibolo, incensiere, messale e brocca (ora quasi scomparsi) e, nei pennacchi della volta, quattro affreschi monocromi con scene della Vita di San Martino (S. Martino soldato fa l'elemosina ai poveri; S. Martino resuscita un morto; S. Martino vescovo abbatte gli idoli; S. Martino prega i Santi Pietro e Paolo -questa scena non fa parte della storia del Santo; probabilmente è stata inserita per una devozione personale dei donatori dell'affresco-). La Gloria di San Martino è una delle prove migliori del Magatti: la composizione si snoda in quattro gruppi di figure: quello principale è formato da S. Martino, in abiti vescovili, che protende una mano al cielo; ci sono poi tre gruppi di angeli: uno con strumenti musicali (si notano un organo a canne e un'arpa), uno con i simboli della vita da soldato (scudo, elmo) e uno con i simboli della vita sacerdotale (pianeta e messale). Nel 1723 Francesco Maria Bianchi, figlio di quel Salvatore Bianchi che affrescò l'abside di S. Vittore, dipinse i quadroni sui lati della navata: il Martirio di San Bartolomeo (lato sinistro) e il Martirio di San Lorenzo (lato destro). Le monache furono
così soddisfatte del lavoro che sulla controfacciata, sopra il portale di ingresso, all'interno di motivi architettonici prospettico-illusionistici, fecero dipingere l'iscrizione (parzialmente scomparsa) Christum Martinus utrumque virgines sponsae spolio suo exornarunt – 1723 (Martino rivestì Cristo e vergini spose adornarono l'uno e l'altro a proprie spese – 1723).
Nel presbiterio si apre la porta di quanto rimane della sacrestia originaria, incorniciata da un affresco con architetture a tromp l'oeil e una scena, monocroma, di un Santo (forse San Martino) in estasi davanti alla Vergine.
All'interno della sacrestia sopravvive, dell'antica decorazione, un piccolo affresco con fiori e foglie e un cartiglio con la scritta Benefecit sacrario ut a sacrdotibus retribueretur. 12 novembre 1722 (Beneficò la chiesa così da avere ricompensa dai sacerdoti), recuperati dal recente restauro.
Nel 1798 durante la Repubblica Cisalpina, il convento fu chiuso, le monache sciolte dai loro voti e allontanate; le proprietà del convento furono vendute al conte Vincenzo Dandolo che, sul terreno del giardino, fece costruire dal Pollak una villa, Villa Selene (attuale seconda metà di via Morazzone); gli edifici del convento furono prima trasformati in abitazioni e infine demoliti.
La chiesa, sopravvissuta alla soppressione del convento, venne utilizzata prima come deposito militare poi come fienile. Nel 1855, un incendio scoppiato per il fieno provocò gravi danni agli affreschi, danni che furono riparati nel 1858 con un restauro promosso dal Prevosto Crespi e la chiesa tornò al culto.
La chiesa è aperta tutte le domeniche in occasione della S. Messa in latino delle ore 18.