Una sigaretta fumante, occhiali retrò, un lungo cappotto per ripararsi dal freddo. Cammina, si ferma, si aggira con passo spaesato e sguardo a dir poco interrogativo. Le note inquiete di un pianoforte sospingono come un vento anche noi, verso l’approdo, facendo vibrare le corde del nostro profondo.
Si apre così il corto scritto e diretto da Matteo Inzaghi, un atto d’amore nei confronti di un luogo magico come la Corte dei Brut di Gavirate, una cascina con tutte le sue antichità e le sue tradizioni. Ed è proprio qui che torna l’errante: si lascia tutto alle spalle per valicare il confine ed immergersi nello spirito del luogo, attraverso una suggestiva scala emozionale. Nella mente un turbinio di ricordi riaffiorano piano piano sempre più nitidi, mentre un nuovo mondo lo riaccoglie. Ed è qui lo snodo cruciale, quando l’uomo si trova al centro, come in una danza, e viene aiutato a lasciare i suoi abiti sociali, a spogliarsi metaforicamente delle sovrastrutture che porta con sé. L’esito finale si sublima in una tavolozza di colori, nel suo ritratto, nel segno rosso di un bacio a stampo reso a colpi leggeri di pennello.
Un racconto visivo breve ma intenso, intriso di passaggi onirici, soprattutto quando le scene si fanno monocromatiche. Notevole regia e fotografia per un cortometraggio senza dialoghi ma con una colonna sonora composta ad hoc da Johannes Bickler, perfetta nei tempi, incalzante, che coinvolge e non molla lo spettatore.