“L’evento realizzato dalla Galleria Ghiggini intorno al Totem di mio padre vuole essere un omaggio a lui e alla sua opera”.
Carla Tavernari elenca due ricorrenze del 2017: “i trent’anni dalla scomparsa di Vittorio Tavernari (29 ottobre 1987) e i vent’anni dalla collocazione del Totem (23 novembre 1997)”. La realizzazione del Totem in legno ci riporta al 1973. “era il periodo dei cicli de ‘i Cieli’ e de ‘gli Amanti’. La scelta di fare un’opera astratta è legata a un momento creativo in cui mio padre, secondo le sue parole, tentò di ‘realizzare la figura con canoni e stilemi diversi'”. Per tre giorni saranno esposti nella galleria di via Albuzzi i disegni astratti frutto della ricerca di Tavernari che, tra il 1945 e il 1948 , dopo aver visitato la Biennale di Venezia e aver scoperto Henry Moore, si dedicò in modo significativo alla forma non tradizionale e non figurativa.
Alla fine del 1996, quando si avvicinavano i dieci anni dalla morte di mio padre il professor Gualdoni – allora direttore dei musei civici – e il professor Gottardo Ortelli – assessore alla cultura – vennero a parlare con la mamma. Volevano realizzare una fusione del Totem che si trovava al Castello di Masnago, al tempo in comodato, per celebrare il ricordo di Tavernari. Il Comune si prese carico dei costi della fusione e noi, in cambio, gli donammo il Totem ligneo. Il Totem bronzeo è stato poi collocato in via Albuzzi, entrando a far parte della città.
Il ricordo dell’importanza del Totem è l’occasione per ripercorrere la storia dell’artista, nato a Milano nel 1919. “Fu l’amore a portare mio padre a Varese – ricorda Carla Tavernari. – Nel ’42, poco più che ventenne, prestava il servizio militare a Como, nel 67° Fanteria. Dopo un intervento era stato mandato a Varese in convalescenza. La mamma Piera era violinista e tenne un concerto con due colleghi proprio nell’atrio dell’Ospedale. Si conobbero e si innamorarono. Lui lasciò Milano per Varese, anche se mantenne i rapporti con il capoluogo, che continuava a frequentare per le mostre e le amicizie”.
La figura di Vittorio Tavernari, uomo, padre e artista emerge dalle parole della figlia Carla che racconta: “mi occupo dell’archivio e catalogando queste opere ho scoperto il Tavernari scultore. Per me era il papà: con lui si mangiava, si chiacchierava, si andava in vacanza, si invitavano gli amici: era un papà come tutti gli altri. Ogni giorno andava a lavorare nel suo studio. Io e mio fratello Giovanni non potevamo entrare nei suoi spazi di lavoro e non dovevamo toccare niente. Usava strumenti particolari e non voleva ci facessimo male. Un giorno io stessa, ancora bambina, entrai nello studio e mi ferii malamente con un taglierino: aveva ragione!”. Sono parole da cui emergono aspetti meno noti di Tavernari.
“Quella di mio padre era una famiglia di artisti. – ricorda Carla – Il nonno era pittore e restauratore. Nella Milano del primo Novecento realizzava dipinti su commissione e si era specializzato nei dipinti olandesi del Seicento: copiava opere di artisti come David Teniers modificando dei piccoli particolari, come i colori delle vesti, per non creare un falso. Un giorno, visitando il Museo del Prado a Madrid, abbiamo visto l’originale di Teniers di un quadro fatto dal nonno che abbiamo sempre avuto in casa! Papà, quindi, è cresciuto immerso nell’arte. A 16 anni è entrato nella Scuola d’Arte del Marmo del Castello Sforzesco di Milano, fondata da Adolfo Wildt e poi diretta dal figlio Francesco. Wildt è stato un maestro per mio padre – la cui prima sfida fu quella di realizzare un uovo in marmo! – e l’ha messo in contatto con importanti artisti e critici d’Arte del tempo”. Il percorso artistico di Vittorio Tavernari si è sviluppato tra sculture, disegni, dipinti, e acqueforti (lastre di metallo incise con acido nitrico).
Il racconto della figlia Carla prosegue: “mio padre lavorava tutti i giorni e ha realizzato molte opere. Nell’Archivio ne sono schedate 550 – di diverse dimensioni – e tanti disegni. L’Archivio è stato costituito con l’intento di radunare le schede delle opere che sono nei musei, nelle gallerie e anche presso privati. Ancora oggi, a tanti anni dalla sua scomparsa, succede che qualcuno scriva per chiedermi un’autenticazione. E’ emozionante. E’ stata fatta una schedatura completa delle sculture. Poi abbiamo disegni, schizzi, lastre per l’incisione. Negli anni ’70, ad esempio, illustrò “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” per una casa editrice di Torino e noi conserviamo le lastre di questo lavoro. Abbiamo numerose cartelle. Una di queste, intitolata “Gli Amanti”, fu realizzata su invito dello scrittore Piero Chiara, che era un suo grande amico. Infatti la cartella contiene un racconto di Chiara.
L’Archivio accoglie anche la documentazione bibliografica relativa alle monografie e tutti gli articoli usciti su riviste specializzate come Paragone, Domus. Conserviamo anche i cataloghi delle mostre collettive. Una delle ultime, “Visioni traversali”, è stata allestita a Sorrento nel 2016. Le opere di mio padre vengono richieste più volte all’anno, quando ci sono mostre relative al Novecento: noi le prestiamo sempre volentieri!”.
Carla Tavernari, “Vittorio e Piera Tavernari”, Ed.Macchione
Chiara Ambrosioni