Tra i molti beni artistici racchiusi nel Santuario di Santa Maria del Monte, ve n’è uno in particolare che spesso, nella profusione di sculture e affreschi di cui questo luogo di culto è ornato, tende a passare inosservato agli occhi del visitatore, nonostante possa vantare una storia plurisecolare. Si tratta dell’organo a canne.
Quasi ogni chiesa al mondo possiede un organo a canne: questo perché sin dal Medioevo l’organo è lo strumento musicale cristiano per eccellenza. E ciascun organo a canne è unico, in quanto progettato e realizzato secondo le caratteristiche dell’edificio che lo ospita e le esigenze dei committenti. Per questo motivo, l’organo a canne è l’unico strumento musicale che è sempre stato costruito – e ancora oggi è così – in modo artigianale, nelle botteghe organarie, senza essere mai coinvolto nei processi produttivi di tipo industriale nella misura in cui lo sono gli altri strumenti musicali moderni, almeno quelli di fascia economica.
L’organo a canne del Santuario del Sacro Monte di Varese non fa eccezione: è uno strumento musicale dalle caratteristiche uniche e ha una storia assai appassionante, che si dipana lungo il filo dei secoli e che vede coinvolte le più importanti figure dell’arte organaria varesina e lombarda.
Un po’ di storia. Già prima della ristrutturazione sforzesca del XV secolo esisteva in Santuario un organo a canne collocato su una balaustra lignea in controfacciata, dove attualmente si trova la grata della chiesa delle Madonne, appartenente al complesso del monastero delle Romite Ambrosiane. Fu proprio la fondazione del monastero, a partire dal 1476, a decretare la sorte di questo strumento: pare infatti che con la costruzione della chiesa delle Madonne sopra l’antica controfacciata gli organisti potessero, attraverso la grata ancor oggi ben visibile, osservare le religiose e, addirittura, rivolgere loro la parola…
Non si sa se le voci intorno a tali presunti sconvenienti rapporti tra i musicisti e le monache siano vere: in ogni caso, la controfacciata venne abbattuta per fare spazio all’allungamento della navata centrale, l’organo venne smantellato e il Santuario rimase privo del suo strumento. L’assenza di un organo a canne non costituiva solo un problema di ordine liturgico, ma andava a ledere il prestigio stesso del luogo di culto: così, per risolvere il problema si decise di non badare a spese e fu chiamato a Varese quello che allora era uno fra i più illustri organari italiani: il bresciano Gian Giacomo Antegnati, costruttore di molti celebri strumenti, alcuni dei quali (come quelli del Duomo Vecchio di Brescia e della chiesa di San Maurizio a Milano) sono giunti sino a noi. Nel 1531 l’Antegnati costruì per il Santuario un prezioso organo a canne situato nel catino absidale (nell’identico luogo dell’organo attuale). Secondo le convenzioni artistiche dell’epoca, lo strumento aveva una facciata suddivisa in più campate ed era racchiuso in una elegante cornice lignea dorata, ancor oggi ben conservata.
L’organo di Gian Giacomo Antegnati venne regolarmente utilizzato fino al 1831, quando un fulmine caduto sul Santuario durante un temporale colpì la sommità dell’abside: l’incendio che si scatenò arse le strutture lignee del tetto, che propagarono le fiamme alla parte posteriore dell’organo. Il canneggio venne quasi interamente distrutto e solo la facciata fu risparmiata. A distanza di trecento anni, il Santuario si trovava ancora una volta senza un organo a canne. Stavolta la situazione venne risolta chiamando un organaro locale: Luigi Maroni-Biroldi, erede di una tra le prime vere famiglie varesine di organari (i Biroldi, appunto). Già nel 1832 il nuovo organo era stato completato. Luigi aveva ricostruito lo strumento nella stessa collocazione del precedente, eliminando però la rinascimentale facciata a campate multiple (la cornice dorata venne conservata) in favore di una più moderna campata unica che, in linea di massima, è quella attualmente visibile. L’organo venne rifatto secondo il tipico stile musicale ottocentesco, venendo dotato di sonorità dal timbro spiccatamente orchestrale e operistico come il Flauto Traverso, la Tromba, il Fagotto, l’Ottavino e persino i Timpani. Successivamente venne addirittura aggiunto un vero e proprio tamburo che però venne rimosso quasi subito: il suono risultava sconveniente alla dignità del luogo.
Il nuovo strumento venne utilizzato per centocinquant’anni; tuttavia, a causa della progressiva rarefazione degli interventi di manutenzione, con il tempo le sue condizioni si aggravarono sensibilmente.
Nel 1982, finalmente, l’organo fu interamente ricostruito e ampliato, dotato di trasmissione elettrica e di una consolle mobile accanto all’altare. L’operazione fu compiuta da un’altra casa organaria eminentemente varesina: la ditta Vincenzo Mascioni di Cuvio, che per tutto il Novecento detenne il ruolo di punta di diamante dell’arte organaria italiana ed è ancor oggi conosciuta e rinomata a livello mondiale. Lo strumento costruito dai Mascioni nel 1982, che tra l’altro incorpora alcune canne dell’organo di Luigi Maroni-Biroldi, è appunto quello attuale.
Oltre alla sua storia, ciò che rende unico questo strumento è la sua sonorità. Ogni organo a canne è diverso da tutti gli altri perché dotato di una configurazione sonora unica: ciascun organo possiede varie file di canne (i registri) dotate di timbro e intonazione differenti, ed è proprio questa varietà sonora a rendere inimitabile ciascuno di questi strumenti. Nel corso della storia, la sonorità degli organi a canne si legò a doppio filo all’estetica musicale delle varie epoche, perciò un organo cinquecentesco è adatto all’esecuzione del repertorio rinascimentale, un organo tedesco del Settecento è ottimo per la musica di Bach, e così via. L’organo a canne del Santuario del Sacro Monte, nella sua configurazione attuale, è uno strumento che viene definito “eclettico”: le sue sonorità sono perfette per il servizio liturgico, ma sono anche tali da poter eseguire con naturalezza tutto il repertorio organistico, dalla musica antica a quella contemporanea, senza tuttavia fargli perdere la sua identità di strumento moderno e varesino. Queste caratteristiche lo hanno reso estremamente apprezzato da numerosi organisti di fama internazionale che nel corso degli ultimi tre decenni si sono avvicendati alla sua consolle nel corso di molte stagioni concertistiche.
La sua eccezionale versatilità è data dal grande equilibrio tra le varie sonorità che questo strumento è in grado di produrre: i suoi ventisei registri coprono praticamente l’intera tavolozza timbrica tipica di un organo a canne moderno, e le sue quasi milletrecento canne – divise in due tastiere e pedaliera – sono capaci di una potenza sonora impressionante, in grado di riempire senza sforzo gli spazi del Santuario. L’organo è notevole anche dal punto di vista estetico, con una sobria ma imponente facciata a cuspide di stampo ottocentesco racchiusa nell’elegante cassa lignea di Gian Giacomo Antegnati: anche visivamente questo strumento incarna la storia e le vicende che ne hanno definito l’identità.
L’organo a canne del Santuario di Santa Maria del Monte sopra Varese è, dunque, uno strumento dotato di grandissimo pregio tanto dal punto di vista musicale quanto da quello storico-artistico, e una testimonianza vivente di ben quattro secoli di arte e artigianato lombardo e varesino: un tesoro prezioso di cui il Santuario di Santa Maria del Monte e la città di Varese devono essere orgogliosi.
Stefano Crosazzo