Gli scatti che ritraggono Maddalena Magliano in compagnia degli artisti dello Studio Maddalena Carioni, perfetto scorcio di primi anni 70, suscitano quella tipica nostalgia che si prova nei confronti di un’epoca che affascina da sempre, ma che non si è mai vissuta. 

Quell’atmosfera avanguardista e l’intuito della Magliano per i linguaggi artistici innovativi rivivono al Chiostro arte contemporanea di Saronno fino al 2 giugno, con una mostra omaggio a Maddalena, scomparsa un anno fa, e al suo Studio. 

Il Chiostro arte contemporanea, galleria d’arte a un passo dal Santuario della Beata Vergine dei Miracoli, è stato fondato a fine anni 80 da Duilio Affanni con uno sguardo rivolto all’arte del Novecento. La figlia Marina, che ha aperto un osservatorio sull’arte contemporanea, oggi dirige la galleria con evidente passione per la fotografia e gli artisti senza tempo. “Sono in mostra opere dei principali artisti dello Studio Carioni e pezzi della collezione personale di Maddalena Magliano. – spiega la direttrice del Chiostro – Di lei mi hanno sempre colpita l’originalità di pensiero, il carattere deciso e la sensibilità. Doti che le hanno permesso d’individuare e incoraggiare sconosciuti artisti di talento, offrendo loro una base di lavoro e d’incontro nella sua galleria”.

Direttrice e titolare dello Studio Carioni, Maddalena apre a Milano uno spazio che è più di una galleria. Luogo di aggregazione per intellettuali, giovani artisti e figure del mondo del design e della moda, nei primi anni 70 il nome dello Studio spicca accanto a quello delle gallerie di Franco Toselli, Luciano Inga-Pin e a quelli delle straniere Templon e Lambert.  

Tra aprile ‘72 e giugno ‘73, lo Studio Carioni compie la propria breve e intensa parabola vitale con una serie di eventi in grado di guadagnargli l’attenzione della scena culturale milanese. “La mostra d’apertura fu dedicata a Fernando Tonello, un talentuoso emergente che, tre anni più tardi, sarebbe scomparso prematuramente” precisa Marina Affanni. Quella mostra è per Tonello un punto  di passaggio dal post-Pop a una fase più concettuale. In un periodo in cui prevalgono statements in inglese, Tonello sceglie il latino. Il titolo della personale allo Studio Carioni è infatti la declinazione del termine rescosa: “Res, rerum, rebus, ..”. La scelta della frase, insieme alla soluzione iconica da lui proposta, esprimono l’idea dell’opera come “illustrazione”.

I mesi seguenti sono un avvicendarsi di mostre di aspirazione concettualista, post-concettualista sino ai linguaggi peculiari dell’arte povera.

Nella sua personale, l’ormai celebre Alessandro Jasci dà corpo al tema dell’autobiografia attraverso scritte, disegni e fotografie. Questa sua attività non è risultato di mere esigenze biografiche autocelebrative, ma del bisogno profondo di elaborare il ‘tema-cortocircuito’ dell’autoreferenzialità dell’arte, cruciale in quegli anni.

 

Sogni è una serie di sei foto in bianco e nero emulsionate su tela in cui l’artista abruzzese è ritratto sdraiato a terra nell’atto di dormire, coperto da un lenzuolo bianco. Sopra di lui, in ciascuna tela, aleggia l’onirico come sogno in bianco e nero della realtà, o come sogno a colori della raffigurazione pittorica di questa. Recuperando una tecnica esecutiva già esistente all’epoca, ma poco in uso, Jasci la rilancia esplorandone le potenzialità espressive.

Di qui la sua partecipazione alla mostra collettiva presso lo Studio Carioni accanto a colleghi del calibro di Luciano Fabro, Mario Fusco, Tonello, Hidetoshi Nagasawa, Mario Nigro, Remo Salvadori, Antonio Trotta e Zvi Goldstein.

Artisti che, orfani di Tonello, avrebbero poi seguito percorsi indipendenti. “Autori che – come ricorda Adriano Altamira – sono il nucleo del futuro ‘Miracolo a Milano’ che sarebbe stato celebrato nel 1975 dalla rivista Data, di Tommaso Trini, con tanto di copertina: il gruppo, qui ancora in decantazione, conta le presenze di giovani emergenti che avrebbero potuto virtualmente farne parte, come Jasci e Salvadori. È interessante, in questo senso, il ruolo di Fabro, di solito molto selettivo nelle sue partecipazioni, di Nigro, pittore già non più giovane, di cui Fabro aveva molta stima e il giovane concettualista israeliano Zvi Goldstein”. Nei loro discorsi quotidiani circolano materiali come marmo, ricamo, oro, cristallo e bronzo. Alla ricerca di nuove coordinate e modalità espressive, questi autori cercano di basarsi su esperienze più personali evidenziando, nel contempo, elementi della cultura italiana. 

Dopo un inizio concettuale con opere basate sulla tautologia, come la straordinaria intuizione della telecamera che riprende se stessa, con la mostra del marzo ’73 Giancarlo Croce segue un percorso nuovo, di stile neorinascimentale. In opere come Alla corte di Re Cremisi, ritrae personaggi del suo entourage in pose e abbigliamento che richiamano dipinti cinquecenteschi in modo volutamente manieristico. L’intento è quello di esprimere un contenuto che coincide con l’idea della forma che, avendo già raggiunto il proprio massimo punto di espressione, è qui solo un’allusione, non imitazione. 

Jorge Eielson, in quegli anni uno degli artisti più quotati, riallacciandosi a un’antica tradizione peruviana, crea tele monocrome che fungono da sfondo a nodi di tessuto che, oltre a costituire la struttura formale di ogni tavola, rinviano all’antica ‘scrittura di nodi’ delle popolazioni precolombiane. Una delle sue tele più suggestive è, in realtà, il risultato di una precedente performance dal vivo in cui una ballerina, accovacciata sotto un ampio telo, aveva effettuato dei movimenti ritmici che simulavano il moto progressivo delle dune del deserto di Sechura sotto la spinta del vento.  

Di fronte a linguaggi nuovi, spesso complessi, in che modo ci si accosta all’arte? “Con umiltà – sostiene Marina Affanni – Spesso incontro visitatori che, con una rapida occhiata, pensano di aver capito tutto di un’opera. Con un giudizio sbrigativo, pensano di poter liquidare come poco incisivo il lavoro di un artista. In realtà, occorre conoscere sia l’artista che la sua visione del mondo, perché è lì che si inscrivono le sue scelte stilistiche e la reale portata del suo lavoro”.

Michela Sechi

 

Mostra in corso fino al 2 giugno 2018

Da martedì a venerdì 10/12.30 – 16/18.30              sabato 10/12.30, pomeriggio su appuntamento

Info: www.ilchiostroarte.itinfo@ilchiostroarte.it telefono +39 02 9622717