Busto Arsizio – Lasciamo pur perdere, almeno per ora, le celebrazioni di Leonardo che s’avvieranno fra poco per celebrare il quinto centenario della morte, ma sarà senz’altro un piacere a chi è interessato all’arte del Rinascimento, non solo ai suoi protagonisti, ma anche ai maestri che lavorarono in centri cosiddetti “minori” o periferici, visitare due raffinate mostre che bene documentano come allora le novità delle “capitali” dell’arte giungessero qui, magari solo untantino in ritardo.
Per incominciare converrà andare ad Alessandria per l’esposizione che riunisce al
secondo piano del Palazzo del Monferrato una cinquantina fra sculture lignee, dipinti
e oggetti di oreficeria creati, salvo un caso, in un periodo che va dal 1450 al 1535. Erano
gli anni in cui il dominio degli Sforza s’era allungato fino alla città allora fortificata in riva
al Tanaro, rendendola trafficata nei commerci, importante strategicamente e viva e attiva
come snodo artistico-culturale fra Milano e Genova e Savona. La mostra, a cura di Fulvio
Cervini, appare già nella prima sala emozionante per la sfilata di umanissimi Crocifissi,
alcuni proprio fortemente espressivi nel patimento fisico della passione. Subito dopo ci si
commuove davanti ai due gruppi policromi, provenienti uno dall’oratorio della Pietà di
Castellazzo Bormida e l’altro dall’oratorio dei Bianchi di Serravalle Scrivia, che inscenano
il momento toccante e desolante del compianto sul Cristo morto (ill. 1). Momento che doveva coinvolgere confratelli e fedeli, per questo reso in forte drammaturgia dai maestri
delle terre “padane”, fin su in Valsesia dove il potente gruppo della “Pietra dell’Unzione” sembra già avviare la storia e il pathos del Sacro Monte di Varallo. Tornando alla mostra di
Alessandria, accanto a poche opere di oreficeria, tuttavia di rilevante qualità, e a tavole e polittici (davvero molto bello quello di Gandolfino da Roreto proveniente da
Quargnento), non si possono non ammirare, sempre lavorate nel legno, Madonne imponenti o dai modi raffinati che hanno in braccio Bambini regali o fin troppo vivaci e pure un San Sebastiano martire ed eroe (ill. 2) di prestante giovinezza. A concludere la
rassegna s’impone un pannello di noce che era parte della monumentale macchinaprogettata da Giorgio Vasari nel 1567 (ecco l’eccezione cronologica) per l’altare maggiore della chiesa di Santa Croce a Bosco Marengo.
Già che si è ad Alessandria occorre fare una visita a questo poco distante complessodomenicano offerto magnificamente da Pio V, “papa di Bosco Marengo, oriundo della famiglia dei Ghislieri”,come si legge nella lapide sotto al suo cenotafio nel transetto di Santa Croce. Sempre in tema di Rinascimento, “en attendant” l’arrivo in primavera, al Palazzo Reale di
Milano, della mostra dedicata ad Antonello da Messina, si può tornare, o finalmente
andare, alla Pinacoteca Züst di Rancate dove si squaderna fino al 17 febbraio il secondo
capitolo del “Rinascimento nelle terre ticinesi”, una mostra curata da Giovanni Agosti e
Jacopo Stoppa. Suo merito, oltre a quello, primario, di far tornare qui opere realizzate per le chiese del posto ma ora disperse in musei o raccolte private, è anche di aver riservato un affondo a Francesco De Tatti, artista varesino di cultura più che buona, anche se di resa artistica non eccelsa.
Da pochi giorni si è aggiunta alle altre pregevoli testimonianze la pala raffigurante la “Madonna con il Bambino fra i santi Giovanni Battista e Giuseppe e un membro della famiglia Quadri” che l’opera aveva voluto, commissionandola a
Bernardino Luini (ill. 3). Concluso finalmente il restauro, questa tela è tornata dunque a
rivedere il lago e la chiesa di Santa Maria degli Angeli di Lugano, giungendo da Orford, nel verdeggiante Suffolk, dove ora è custodita. Se sia o no autografa lo lasciamo discutere agli agguerriti studiosi del Luini. A noi, comunque scettici circa la paternità, basta aver segnalato la sua presenza e ricordato, come è giusto che sia, una mostra che “funziona bene” perché fa scoprire, come del resto quella di Alessandria, occasioni d’arte colte e preziose, in grado di far intendere che il Rinascimento non è stato solo a Firenze, Urbino o Mantova, ma anche in quelle terre lì.
Giuseppe Pacciarotti