Questa settimana a Poetando abbiamo parlato di uno tra i più grandi e importanti autori di tutti i tempi, un uomo che ha stravolto tutte le regole della poesia, che non era lo studioso solitario e ripiegato su se stesso ma, anzi, ha vissuto una vita al di fuori da ogni regola: Gabriele D’annunzio.
Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo 1863 da una famiglia borghese che vive grazie alla ricca eredità dello zio.
Già nei primi anni di collegio pubblica la sua prima raccolta di poesie: Primo vere pubblicata a spese del padre.
Prima dell’uscita della seconda edizione però tutti i giornali parlavano di una notizia inaspettata: D’Annunzio sarebbe morto cadendo da cavallo.
Ovviamente non era vero e chi poteva essere stato a far girare questa falsa notizia? Proprio lui perchè voleva attirare l’attenzione e il suo piano funzionò! Da quel momento per lui fu un crescere di notorietà!
La maggior parte di queste poesie sono dedicate all’Abruzzo come questa, dal titolo: Al Fiero Abruzzo
Mentre A ’l Bel Sole De ’l Novello Aprile
Ridono E Terra E Mare,
E Fra’ Capelli Un Zefiro Gentile
Mi Sento Folleggiare,
Da Questa Balza Che S’eleva Ardita
Ti Guardo, O Sannio Mio,
E In Cor Mi Sento Rifiorir La Vita
Con Ardente Disìo.
Via Per L’azzurro Tuo Ciel Radiante
Volano I Miei Pensieri
Sì Come Una Fugace E Gorgheggiante
Torma D’augelli Neri;
E Le Vigili Strofe Intorno Intorno
Mi Guidano Una Danza,
Le Strofe Ch’io Con Tanto Amore Adorno,
Che Son La Mia Speranza.
Ah Sì, Le Calme De ’l Tuo Ciel Divine
Mi Fecero Poeta,
I Sorrisi D’un Mar Senza Confine
Là Tra La Mia Pineta:
Tra La Pineta Mia Dov’ho Passati
I Momenti Più Belli,
Dove Ho Goduti I Miei Sogni Dorati
E I Canti De Gli Uccelli;
Dov’io Disteso Su L’erbetta Molle
Mille Volte Piangendo
Ho Rimirato Il Sol Che Dietro A ’l Colle
si nascondea fulgendo,
o un nuvolo leggero e luminoso
natante via pe ’l cielo
ne l’ampio plenilunio silenzioso
come un argenteo velo;
dove ho provate voluttà sì strane
i murmuri ascoltando
de’ vecchi pini, a cui da lunge un cane
rispondeva latrando,
o la solenne musica de l’onde
che increspandosi appena
venian soavi a le ricurve sponde
a ribaciar l’arena…
E con serene ebrezze la speranza
ne ’l core mi fioria,
mentre i sogni superbi con baldanza
puërile inseguia…
I miei sogni di gloria e libertate
per l’azzurro fuggenti
come una schiera di fanciulle alate
o di meteore ardenti!…
Or co’ giovini mandorli fioriti
a ’l sol rïapron l’ale
gli entusïasmi splendidi sopiti
ne l’inverno glaciale,
e ti mando un saluto, o Sannio fiero,
senza nube d’affanni
con tutto il foco prepotente e altero
de’ miei diciassett’anni!…
Veggo di qui le tue selvagge vette
radïanti di neve,
da cui si slancian simili a saette
l’aquile a l’aer lieve,
e la verde pianura co’ giardini
cui sorridono i fiori
che ne’ vesperi rossi e ne’ mattini
intrecciano gli amori.
Veggo i lavacri de ’l mio bel Pescara,
immane angue d’argento,
co’ i salci e i pioppi giù ne l’acqua chiara
inchinantisi a ’l vento,
con le crete de gli argini fiammanti
d’una follìa di gialli
che dànno a l’acqua tripudî abbaglianti,
splendori di metalli;
e là giù in fondo i colli di Spoltore
sorrisi da gli olivi,
dove le donne cantando d’amore
vanno a stormi giulivi…
Con quale ebrezza su’ tuoi lieti piani
sorvolo galoppando
a un’incognita mèta, i più lontani
orizzonti agognando,
sì come ne gli orrori de ’l deserto
il fiero beduino
tutto di bianco caffettan coperto
galoppa a ’l suo destino!…
Prendi! da l’imo de ’l mio giovin cuore
questo canto t’invio
o patria bella, o mio divino amore,
o vecchio Sannio mio!
Si iscrive alla facoltà di lettere, quindi si trasferisce a Roma e qui, in un vita sommerso da un lusso che non poteva permettersi, proprio D’Annunzio, l’università, non la finirà mai. Tra i vari amori e le continue avventure trova anche il tempo di collaborare con giornali e riviste e in poco tempo diventa il re della vita mondana, anche quella romana. Era un poeta, scriveva poesie serie, tragiche, politiche e poi girava come un Dandy per le strade. Per non smentirsi difatti, dopo aver pubblicato due raccolte di una serietà impressionante come Canto novo e Terra vergine cosa fa nel 1883? Fugge a Firenze con la duchessa Maria Hardouin di Gallese quando lei ha solo 19 anni. Ne parlano tutti i giornali, d’Annunzio diventa il re del gossip!
Compone i versi Intermezzo di rime, la cui «inverecondia» scatena un’accesa polemica; e proprio in questa raccolta si rivolge a chi, come lui, racconta la vita attraverso le parole, in una poesia intitolata proprio Ai poeti
Inutilmente voi con le snervate
braccia sopra le incudini sonore,
tristi artefici, il verso martellate;
poi che non dà il metallo anche un bagliore.
Inutilmente i calici tentate
co ‘l malfermo cesello: il vin d’amore
ne le fragili tazze constellate
più non ha il grande aroma avvivatore.
Stridono le fatiche stolte: infrante
le estreme forze, a voi nulla rimane
fuor che il lungo morir ne li ozi oscuri.
E non, in contro a ‘l Sole almo, un gigante,
auspice su le nuove guerre umane
sorge a ‘l vostro saluto, o morituri!
II
Ma in grembo a un mare ignoto, ove non mai
giunsero navi, un’isola fiorente
chiusa in cerchio da bianchi polipai
va emergendo su l’acque lentamente.
Intatti ora germogliano i rosai
meravigliosi a i lidi, ne ‘l vivente
silenzio; e forse un giorno i marinai
vi drizzeran la prora arditamente.
Emerge lenta l’isola, nutrita
da la immensa prolifica famiglia
de i molluschi ne’ fondi alti e quieti.
Emerge lenta: atteggiasi la vita
a nuove forme, e chiude ogni conchiglia
perle che il sol non mai vide, o poeti.
Ma niente rappresenta d’annunzio come il suo primo romanzo, che dal titolo possiamo capire tutto il significato profondo della sua esistenza: Il piacere
Nel 1891 assediato dai creditori, perchè la bella vita costa, si allontana da Roma e si trasferisce a Napoli dove collabora con alcuni giornali.
Nel 1895 esce La vergine delle rocce, il romanzo in cui si affaccia la teoria del superuomo, concetto nuovo nella sua letteratura ma che faceva parte di lui e che dominerà tutta la sua produzione da qui in poi. A questo punto, per non farsi mancare niente, si dedica alla produzione teatrale.
Nel 1906 deve trasferirsi in Francia per sfuggire ai creditori, una storia che si ripete e qui trova la belle époque francese, il suo arem. Torna in Italia nel 1915 alla vigilia della prima guerra mondiale, sempre sotto i riflettori, fa grandi discorsi ed è la dimostrazione vivente del mito letterario di una vita inimitabile. Partecipa a imprese belliche molto, molto, autocelebrate. Perde un occhio durante un incidente aereo ma a questo punto il re della vita mondana diventa anche eroe nazionale.
Con l’avvento del fascismo si rifugia sul lago di garda e, come nei migliori film, l’eroe nazionale osannato da tutti passa gli ultimi anni della sua vita in solitudine fino alla morte del 1939
Poesie scelte: La pioggia nel pineto (Alcyone, 1902-03).
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sìche par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alvèoli
con come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.
Bisogna fare la propria vita come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui.
Gabriele D’Annunzio, Il Piacere
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