Se facciamo diviso 20 sono: 8 parti di rum bianco, 4 di rum scuro, 3 parti di orange curaçao, 3 di sciroppo di orzata e 2 di succo di lime fresco.

Tutti gli ingredienti, tranne il Black Rum, vanno miscelati nello shaker con il ghiaccio. Si versa nel bicchiere, poi si aggiunge il liquore più forte, facendolo stratificare in superficie. Servito inesorabilmente on the rocks.

 


Il Mai Tai scorre a fiumi su queste isole, un po’ turistiche, un po’ ancora piacevolmente sperdute nel mare delle Andamane, a sud della Thailandia. E’ rosso acceso come il tramonto che s’infiamma appagante dopo uno scroscio di pioggia monsonica a Sunrise Beach, Sunset, Paradise Shore… sono nomi recenti questi, per luoghi antichi,  mutati da millenni solo secondo il ciclo saggio della Terra. 

La famiglia di Patay pratica massaggi chissà da quanti anni, sempre lì, a Old Town, isola di Ko-Lanta.

Dopo il rigenerante trattamento, ci invitano nel loro piccolo ristorante, che è in realtà una capanna di legno, con un unico grande tavolo barcollante al centro. Quando arriviamo si spostano tutti, sgombrando la tavolata e pulendo accuratamente, ci fanno sedere. Ci chiedono subito quale pesce vogliamo mangiare e Patay, il capo famiglia, con diligenza prende nota del numero con le dita, inforca la bici e si precipita giù al molo, che è soltanto dall’altra parte della strada. Dopo pochi minuti è di ritorno con un grappolo di pesci in mano. Ce li mostra con modestia, ci domanda se vanno bene, perché ovviamente non sono quelli che abbiamo chiesto e ad un nostro sorriso si fionda in cucina.
Dopo mezz’ora abbondante arriva fiero portando in alto un grande piatto, seguìto in processione dalla moglie e dai bambini più piccoli, sotto gli occhi di tutti gli altri famigliari, come se fosse la cosa più bella accaduta per loro da una settimana. Ovviamente partono, scroscianti, i nostri più commossi applausi.

Questa è la mia Thailandia, la Thailandia che vorrei si respirasse nelle parole dei ricordi di coloro che sono stati nella meravigliosa terra dei Thai. E soprattutto che l’hanno assaporata, l’hanno capita.

Mentre mangiamo di gusto, vedo Patay che smanetta su facebook con un cellulare semidistrutto e gli chiedo di scrivermi un suo riferimento, in modo che io lo possa ricontattare per mandargli le foto della serata. Ci pensa un po’, va in cucina, fruga su di una mensola di bambù, estrae un pezzetto di carta consumato, una matita 

e scrive

lento, u n a   l e t t e r a p e r   v o l t a , il suo nome a caratteri latini, mostrandomelo, quasi come un trionfo.  P-A-T-A-Y-.

Continuando a parlare, un po’ in inglese un po’ a gesti, gli spieghiamo che, dove abitiamo noi, oggi la temperatura era di 0 °C e c’è il ghiaccio per le strade. Ride di gusto. Non ci ha creduto. Mi sa che ha sempre visto il ghiaccio nei bicchieri, mai per le strade. Mi saluta con una grande stretta di mano, è felice che siamo italiani, ci pare di capire che non siamo i primi che passano di lì. Sono contento di questo.

Mi incammino lungo la strada, ma dopo qualche passo mi volto a guardare e lui è ancora là, con tutta la famiglia, sulla soglia della sua capanna. 

Torno indietro e lo abbraccio.

Ko Lanta,
Thailand