A 500 anni dalla morte di Leonardo Da Vinci il mistero della Gioconda si infittisce. Gli arcani misteri legati al dipinto più famoso al mondo, la Gioconda, aumentano proprio nell’anno delle celebrazioni del 500° anno dalla morte del genio. Sono passati dieci giorni da quando i giornali hanno annunciato il ritrovamento della terza Gioconda, o meglio di una versione – copia autentica sembrerebbe – della Gioconda, e solo sei anni dal ritrovamento del ritratto autentico ed originale di Monna Lisa – precendente alla Gioconda del Louvre. La scoperta è stata fatta dal senatore Stefano Candiani che, dopo averla trovata italianamente appesa alla parete dell’ufficio del Questore – oggi Ministro – Federico D’Incà, sopra a un calorifero, l’ha fatta analizzare e restaurare. Sembra che prima, infatti, fosse ritenuta una copia di scarso valore anche se proprietà della collezione Torlonia – Galleria Nazionale Barberini – e attribuita a Bernardino Luini. Claudio Metzger – esperto d’arte antica di fama internazionale – svela qualche segreto in quest’intervista:
La “Gioconda” scoperta dal sottosegretario Candiani, della collezione Torlonia della Galleria Nazionale Barberini è una copia?
«A proposito della bella Gioconda scoperta dal sottosegretario Candiani, innocentemente appesa al muro sopra ad un calorifero, si è sempre saputo che Don Giovanni Torlonia, nel 1892, l’aveva regalata al Regno d’Italia come attribuita a Bernardino Luini.
Credo sia accettato da tutti gli studiosi che quando Leonardo arrivò a Milano nel 1508 avesse con sé il dipinto, iniziato a Firenze anni prima, noto come ritratto di Monna Lisa.
Nel suo studio si unirono a Bernardino de Conti, il Salai, Luini, Cesare da Sesto, Giampietrino e Francesco Melzi. Forse appeso al muro, ma certo non vicino al camino, vi era il famoso dipinto sulla sottile tavola di pioppo. Come non ispirarvisi, come non essere tentati od addirittura invitati a copiarla? Quello notato dal sottosegretario Candiani, che l’ha presentata allo studioso Antonio Forcellino, è pertanto una copia dipinta in presenza dell’originale e non credo che allora si fossero posti problemi di Copyright. Comunque di accordi alla riproduzione, royalties o dispute non sappiamo nulla come, non sappiamo, se Leonardo stesso vi abbia messo mano, anzi pennello, o no».
In effetti però il grande equivoco sta alla base: parliamo della Gioconda o del ritratto di Monna Lisa del Giocondo?
«Pur non essendo uno studioso di Leonardo, mi sembra certo che la Gioconda del Louvre, portata prima da Firenze a Milano e poi venduta a Francesco I Re di Francia, non possa essere il Ritratto di Lisa del Giocondo commissionato a Firenze dal marito della giovane e tristissima Lisa Gherardini. Lisa non era una ragazzina qualunque, sua madre era una Rucellai – famiglia di banchieri – e suo marito – Francesco de Bartolomeo di Zanobi del Giocondo – era già membro del governo nel 1499. Lisa si era sposata a 16 anni e, perdendo una bambina di parto, aveva iniziato a soffrire di melanconia.
Sicuramente Leonardo aveva incassato un acconto per eseguire il ritratto, quindi risulta difficile che nel 1506 abbia ricevuto il permesso dalla Signoria di recarsi a Milano, su richiesta di Charles d’Amboise – governatore francese di Milano -, senza consegnare ad un influente membro dell’amministrazione il ritratto della giovane moglie, finito o non finito che fosse. Che Leonardo avesse molto altro per la testa è certo, come è probabile che anche per questo ritratto avesse iniziato a lavorare su due cavalletti.
Ancor più intrigante è far ricorso alle fonti d’epoca: nella corrispondenza datata 1501 con Isabella d’Este, il frate Pietro Nuvolaria – dell’ordine carmelitano – scrive che “due discepoli del Leonardo erano in procinto di fare due ritratti e che il maestro di tanto in tanto vi dava una pennellata”. Più tardi anche Giovan Paolo Lomazzo – amico del Melzi e allievo ed erede di Leonardo – scriveva: “come il ritratto della Gioconda e di Monna Lisa“, lasciando intendere che si trattasse di due dipinti diversi.
Infine il proliferare di ritratti con la dama dall’intrigante sorriso, rappresentata più anziana di Lisa del Giocondo, rende lecito sospettare che Leonardo, a Firenze, abbia lavorato contemporaneamente su due cavalletti e che abbia lasciato un ritratto incompiuto, nella città, proprio a Francesco del Giocondo ed un altro, quello oggi al Louvre, terminato a Milano con il viso di un’altra dama».
Qual è il dipinto che ha dato origine a tutte le altre versioni e copie dall’originale?
«In questo secondo ritratto, terminato probabilmente a Milano ed oggi al Louvre, disponibile in bottega da copiare, si ravvisa l’origine delle innumerevoli versioni oggi note. Divertente è pure l’idea che gioconda, in ricordo di Lisa del Giocondo, sia velatamente un gioco di parole col francese joconde, che dovrebbe farci scoprire l’identità della modella milanese, visto che Lisa Gherardini era tutt’altro che allegra. Chi era dunque la dama gioconda rappresentata a Milano? Tutto ciò naturalmente contribuisce al mito ed al fascino della misteriosa tavola del Louvre senza dimenticare, perché palese all’occhio, la sua bellezza irraggiungibile.
Queste riflessioni rendono ancora più interessante, fra le tante, una versione non finita di una presunta giovane Monna Lisa: è un dipinto su tela e non su tavola di pioppo che, però, presenta a lato le colonne, come viste e dipinte da Raffaello in un famoso disegno; il dipinto, detto Monna Lisa Isleworth, scoperto in Inghilterra nel 1913 dal noto collezionista Hugh Blaker e pubblicato da Henry Pulitzer, è oggi proprietà di una fondazione svizzera. Quest’ultima ne promuove l’autografia di Leonardo in mostre internazionali, l’ultima a Firenze lo scorso 7 giugno nel Palazzo Bastogi. Il giudizio finale oltre alla scienza, che quando non nega non può da sola confermare un’attribuzione, dovrebbe comunque spettare all’occhio del conoscitore. Intanto si legge che anche la Isleworth è coinvolta in vicende giudiziarie legate alla proprietà…affaire à suivre!»
E del Salvator Mundi che ha raggiunto la copia della Gioconda appena scoperta, prelevato dalla basilica di San Domenico Maggiore di Napoli, attributo prima ad un pittore lombardo e poi a Leonardo da Vinci?
«Salvator Mundi è una storia parallela, ed in fondo altrettanto comprensibile, se si considera che replicare un’invenzione pittorica di successo nel Cinquecento era normale: diffondeva la fama dell’inventore oltre al prestigio del proprietario dell’originale».
A questo punto, per farsi un’idea, non resta che andare a vedere i due quadri: saranno, infatti, visibili al pubblico nella mostra, dedicata al 500esimo anniversario dalla scomparsa di Leonardo da Vinci, che l’Accademia dei Lincei inaugurerà a Roma il 4 ottobre.
Biografia:
Claudio Metzger, Historian, Numismatist, Art Connoisseur.
1975, Graduate of Collegio Papio of Ascona, 1979, History and Political Science at the Faculty of Philosophy (phil I) of the University of Zurich, followed by studies in classical numismatics. Curator of classical numismatics in the family company Centro Numismatico, founded 1970 by Gina Metzger. Researches in ancient art, both in the Middle East, Irak and in the Far East, including areas along the Silk Road. Consultant of the City Museum of Modern Art of Ascona. International Cultural promoter with various responsibilities. Founder of the Aion Group. Founder and member of the Board of Aion Masterpieces SA.
Daniela Gulino
Informazioni mostra
“Il trittico dell’ingegno italiano: Leonardo 1519 – 2019”
www.lincei.it