«Passa e si vede, nei nuovi quadri di Montanari, la primavera; passa lasciando fra le odorose erbe le sue margherite bianche».
Così scriveva Piero Chiara, commentando l’opera di Giuseppe Montanari, pittore nato a Osimo il 30 ottobre 1899 e arrivato a Varese, appena conclusa la prima guerra mondiale, per porre la propria dimora all’inizio della maestosa strada delle quattordici cappelle che conduce al Sacro Monte e per conseguire il «diritto d’arte», cercando la giusta ispirazione e coltivando la propria tecnica.
Le stesse margherite citate da Chiara punteggiano l’erba, fresca e luminosa, della campagna che lo sfondo dice essere marchigiana, in una tela celebre del Montanari: la «Contadina picena», imponente, si tiene stretta un bimbo nella primavera della vita, mentre la stagione dona le prime tenere foglie ai rami – così affusolati da apparire quasi impercettibili – dei due alberi snellissimi, alle sue spalle. La primavera del pittore è intessuta di colori – capaci da soli di suggerire le forme – dalle pure «vibrazioni poetiche», che potrebbero ben essere riassunte in questa didascalia desunta dalla penna di Orio Vergani: «Trepido intimismo quello di Giuseppe Montanari, nelle cui vene vibra il sangue d’una primavera sfiorata da un sole ancora giovane. Montanari conosce l’arte di fermarsi a tempo, di non dire una parola più del necessario. Nel suo discorso la parola non diventa mai roca».
La primavera artistica di Montanari si specchia proprio nel quadro che abbiamo scelto, come nota puntualmente Luciano Gallina: «Abbiam visto una contadina, con un bimbo in braccio, su un prato verde smaltato di margherite, opera del 1914, ancora per alcuni versi cruda e imprecisa, ma già indicativa dell’indirizzo futuro per quel suo fermentante humus cromatico, per il coraggio di quel tappeto verde e di quella fioritura azzardata da rammemorare – in qualche misura – il coraggioso e melodioso naturalismo degli antichi pittori marchigiani o, addirittura, una trasposizione in linguaggio gentile».