Busto Arsizio – La sera dell’11 gennaio 1950 il freddo era tagliente in città, ma nelle vie e nelle piazze del centro si assisteva ad un insolito movimento e dai portoni delle case di un certo tono uscivano Lancia Aurelie nuove fiammanti che, guidate da uno “chauffeur” vestito per l’occasione, portavano al Teatro Nuovo di via Pozzi signore in gonna lunga e larga e pelliccia, dono natalizio dei loro consorti rassegnati al seguito. Non perché era la “prima” della stagione d’opera (a Busto quando mai?), ma per il quarto concerto della Società del Quartetto che giusto qualche mese prima era tornata attiva dopo anni di pausa.
Ospite della serata era un trentenne pianista di Brescia, già vincitore del prestigioso concorso di Ginevra, di cui si diceva un gran bene, bravo e bello come pochi: Arturo Benedetti Michelangeli. Nel misero cartoncino distribuito in sala a mo’ di programma la Società del Quartetto “onorata della sua presenza” (mica per tutti scriveva così!) ne sottolineava “nel mondo artistico internazionale il posto di primissimo piano, consacrato dai trionfali successi riportati in Italia ed all’estero davanti a pubblici entusiasti del suo tocco inimitabile e della sua estrema sensibilità artistica”.
Qualità che mandarono in visibilio anche la platea del Nuovo tanto più per il programma interamente dedicato a Chopin. E di questo autore che scelte! Dal lento inizio della Fantasia op.49, con tutte le sue sfaccettature, alla Sonata op. 35, quella con la spettrale “Marcia funebre”, che concluse la prima parte del concerto fra applausi scroscianti dopo la profonda tensione che l’artista aveva creato. Anche la seconda parte riservava emozioni, finanche estasi, con l’irrequieto Scherzo op. 20 fino all’Andante spianato e Polacca – scritto così nel programma – op. 22 disposto a conclusione di una serata davvero memorabile (solo un bis, sempre Chopin) tanto che all’uscita dal teatro, in attesa che arrivasse la macchina a prenderla, una signora che se ne intendeva diceva alle sue amiche che prima e dopo non c’è stato e non ci sarà nessuno come lui!
Per intanto la Società del Quartetto si premurava di confermare anche per la stagione successiva il pianista che fece la sua apparizione la sera del 27 aprile 1951, ultimo dopo colleghi altrettanto da leggenda: José Iturbi, Wilhelm Backhaus e Walter Gieseking. Bei tempi quelli, quando a Busto ci si potevano permettere artisti così! Ovvio che fu un altro trionfo, con il teatro strapieno nonostante i prezzi alti della platea dove della cultura bustocca non mancava proprio nessuno e tanto pubblico era arrivato fin da Varese e da Como.
Passarono poi sei anni e “Archange”, così lo chiamavano le estasiate signore, ritornò, sempre al Nuovo. Se già negli altri concerti s’era notata qualche punta del suo carattere difficile, in questa occasione l’artista riuscì a dare non pochi affanni non solo alla signorina Taborelli, anima della Società del Quartetto, ma anche al pubblico costretto ad uscire dalla sala perché qualcosa non sembrava esser perfetta nel pianoforte. Ma quando finalmente si sedette davanti ad esso e attaccò il “Faschingsschwang in Wien” di Schumann, gli spettatori furono rapiti dalla meraviglia della sua esecuzione accorgendosi subito di assistere a una serata che dire memorabile è poco. Ascoltare da lui questo brano accoppiato poi al Carnaval op. 9, in un continuo, emozionante variare di stati d’animo, dovette essere un momento che avrebbe incantato anche Schumann. E lo stesso sarebbe accaduto per Debussy e Chopin suonati e interpretati nella seconda parte del concerto prima che il pubblico, tutto in piedi, tributasse a Benedetti Michelangeli un’ovazione che non voleva finir più nonostante l’ora si fosse fatta molto tarda.
Giuseppe Pacciarotti