Busto A. – Se ne era andato da Busto a diciannove anni con pochi soldi in tasca imbarcandosi tra il popolo di terza classe di una nave diretta in America del Sud; già nel 1906 aveva uno stabilimento a San Paolo del Brasile con 650 operai che nel 1938 erano diventati 4.000. Bastano queste brevi indicazioni per riassumere la straordinaria vicenda di Rodolfo Crespi nato in una vecchia e povera casa di via Solferino a Busto Arsizio nel 1874 e morto in una sontuosa villa della metropoli brasiliana nel 1939, lì diventato figura di spicco nel mondo industriale e finanziario e, in Italia, tenuto in grande considerazione tanto da essere nominato da Mussolini prima Cavaliere del Lavoro e poi Cavaliere di Gran Croce da Vittorio Emanuele III, nel 1928, conte.
Ci illumina sulla storia di questo importante personaggio rimasto per tanto tempo nel dimenticatoio e spesso erroneamente aggregato al ramo dei Crespi dell’omonimo complesso sull’Adda o del Corriere della Sera, Paolo Ferrario autore di un aureo libretto stampato in poche copie. In esso si legge con sorpreso interesse la parabola di questo intraprendente e lungimirante bustocco che lavorando per Enrico Dell’Acqua seppe conquistare la sua fiducia tanto da renderlo figura di riferimento nella sua filiale aperta in Brasile, a Sao Roque. Rodolfo Crespi aspirava però ad altro e, impalmando Marina Regoli, figlia del proprietario di un Grand Hotel a San Paolo, potè col suocero fondare una società di importazione di prodotti italiani (fin olio e vino!) e anche una fabbrica di tessuti di lana e cotone “con grande scelta di disegni” e di “qualità superiori”, come appunto si poteva leggere nelle pubblicità della Regoli, Crespi e C.
Gli affari andarono a gonfie vele e la fabbrica venne sempre più ingrandendosi tanto che intorno al 1920 furono costruiti un nuovo, grandioso stabilimento nel quartiere di Mooca – oggi sussiste ancora anche se trasformato in centro commerciale – e, intorno ad esso, seguendo la tradizione degli industriali bustocchi, case per i dipendenti, un asilo intitolato alla moglie e fin uno stadio per il “Cotonificio Rodolfo Crespi Futebol Clube”, in seguito rinominato “Clube Atlético Juventus”. La creazione che più stava a cuore al conte fu però l’Istituto Medio Italo-Brasiliano “Dante Alighieri” al quale profuse fino alla scomparsa energia e denaro, orgoglioso che i figli degli emigranti potessero apprendere la lingua e la cultura italiane.
Paolo Ferrario con la sua usuale scrupolosità ci illumina anche sulla famiglia, allietata da quattro figli tutti accasati più che bene, e su un delitto che la coinvolse nel 1929 quando l’autista personale della moglie del conte Dino, il figlio secondogenito, essendo stato licenziato, lo uccise a colpi di pistola. Proprio per ricordarlo i conti Crespi proprio in quei giorni in Italia per incontrare figure di primo piano del mondo politico e industriale di allora, in una visita di cortesia a Busto Arsizio, offrirono all’Ospedale, allora autorevolmente diretto dal professor Solaro, “titoli del Littorio per il valore di un milione di lire” da assegnare come premio “al miglior lavoro scientifico opera di un medico bustese” e per istituire una biblioteca specializzata, tuttora intitolata alla memoria del conte Dino.
L’indagine di Paolo Ferrario ci informa anche della chiusura, dopo la seconda guerra, dell’azienda e dell’epilogo di questa famiglia, oggi ormai estinta. Di uno dei figli di Dino, che prese il nome dal nonno, Paolo Ferrario fa solo, e giustamente, un cenno, ma per chi è curioso, come il sottoscritto, dei “gossip” degli anni della Dolce Vita, si può offrire qualche notizia in più. Rodolfo Crespi, noto nel jet set internazionale come Rudy e come il conte Bubi della Baggina in “L’imperatore di Capri” di Totò, lasciato il Brasile nel 1946, seppe animare, bello, raffinato e charmant, le cronache mondane degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso insieme alla moglie, Consuelo O’ Connor, bellissima, elegantissima e ammiratissima. Organizzarono feste e balli memorabili e si occuparono di pubbliche relazioni nel mondo della moda, divulgando lo chic e l’originalità dei sarti italiani. Sui rotocalchi di allora era tutto un vederli fotografati, sempre perfetti, mai un capello fuori posto, accanto agli Agnelli, ai Kennedy e ai Getty che ricevevano nelle loro case stupende di New York, Roma, Capri e Sabaudia.
Chissà se nonno Rodolfo, partito solo con la valigia di cartone dalla modestissima casa di via Solferino ma con tanta voglia di fare, avrebbe approvato le svagatezze mondane e il lusso esibito con cui Rudy scelse di vivere.
Giuseppe Pacciarotti