Il 10 febbraio è il Giorno del ricordo, solennità civile nazionale che si riferisce ai massacri delle foibe, 1943 -1945, e il conseguente esodo Giuliano – Dalmata che si protrasse sino al 1956. La ricorrenza richiama una tragedia dalla complessità articolata che richiede, per giungere ad un adeguato approccio storico, conoscenza e studio di fonti diverse anche inusuali a volte inquinate da umori ideologici, La curiosità di chi vorrebbe saperne di più credendo che ogni azione collettiva scellerata ha origini, deve scostarsi dalla narrazione puramente rievocativa e avventurarsi alla ricerca di testi inusuali quali le testimonianze di chi ha vissuto gli eventi in modo reietto. Fra le vicende marginali, ma non meno incisive per chi le ha vissute, costituenti antefatti precedenti l’acme della tragedia vanno ricordati i campi di concentramento Italiani. In “Lager Italiani” narrazione e testimonianza ne rammentano l’esistenza e i motivi della loro realizzazione. Chi percorrendo amene contrade dell’Umbria, Toscana, Marche, Liguria ed altre regioni italiane del Nord – Est d’Italia immaginerebbe che alcuni dei paesaggi che sta ammirando comprendevano attrezzati campi di concentramento?
È accaduto; a Gonars, Visco, Monigo, Renicci, Cairo Montenotte, Colfiorito, Fraschette di Alatri e Arbe-Rab nell’attuale Croazia. Dall’esperienza dei “Campi di raccolta” realizzati in Libia già a fine del primo decennio Fascista, sparsi per l’Italia, per iniziativa del Ministero dell’Interno i campi “accoglievano”, fino al 1943, Slavi deportati dalle zone contigue ai confini orientali d’Italia e dalla Dalmazia. Già dalla fine anni ’20, ed in seguito tra il ’25 ed il ’30, si attuarono misure di trasferimento coattivo anche in territorio italiano ove usi, costumi e lingua si identificavano con “l’inferiorità e l’arretratezza degli Slavi”. Dal ’40, nel clima della seconda guerra mondiale, iniziarono vere e proprie deportazioni di popolazione Sloveno-Croata con rimozione del corpo insegnante ed amministrativo sostituite da corrispondente immigrazione italiana. La deportazione non era dettata solo da necessità di guerra ed egemonia su territori impropriamente rivendicati ma dal profondo razzismo anti Slavo del “fascismo di frontiera”.
Mortificando affetti e sentimenti, migliaia di persone furono espropriate dei loro beni a favore degli immigrati Italiani, e internati in campi ove erano lasciati languire per fame in condizioni igieniche pessime. A centinaia perirono per “cause naturali” favorite dalla conduzione dei campi secondo le direttive, documentate, dei comandi militari. Con l’armistizio dell’8 settembre 1943, gli internati dei campi dell’Italia centrale subirono alterne vicende. Alcuni furono abbandonati dai militari. Degli internati, alcuni fuggirono, altri attesero con “fiducia” gli Alleati, ma subirono l’internamento, fatale, in Germania ad opera delle truppe tedesche in ritirata. I comandi militari direttamente responsabili della costruzione e gestione dei campi aderendo al governo Badoglio si trovarono nell’ambigua condizione di “colpevoli” redenti. Ciò spiega, solo in parte, il perché poco si sa sui campi di quelle zone e sui loro gestori. Realtà storica elusa e alterate effettive responsabilità generano incredulità basata sulla domanda: “Com’è possibile che per oltre sessanta anni se sia poco parlato?” Stando alla bibliografia annessa si rivela un’apprezzabile quantità di pubblicazioni che nei decenni passati non hanno avuto la risonanza dei più importanti media. Varie le ipotesi possibili ma quella rispondente al vero forse rimarrà prigioniera della ambiguità politica createsi nel biennio ’43 –’45 e protrattasi nel dopoguerra ed oltre. Una lettura penosa per chi cerca di conoscere. Utile compensazione del mancato insegnamento scolastico della storia degli ultimi cent’anni.
Lager italiani – Pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943 Alessandra Kersevan Pagg. 287 Aprile 2008 Edizioni NUTRIMENTI 18 Euro.
Mario Ferdeghini