Busto Arsizio – Affrontò spesso il tema iconografico della “Pietà”Giovanni Bellini (Venezia, 1433-1516) noto anche con il nome Giambellino del quale andremo a conoscere il dipinto custodito a Milano nella pinacoteca di Brera. La formazione dell’artista veneziano come quella del fratello Gentile prende avvio nella bottega del padre Iacopo, anch’egli pittore. Nel corso della sua attività e maturazione artistica importante fu anche l’influenza del cognato Andrea Mantegna.
Fin dalle sue prime opere Giovanni rivela una particolare attenzione al colore. Il paesaggio in cui vive determina la sua sensibilità cromatica. Le tonalità del mare, del cielo esaltati dalla luce lo portano ad elaborare un linguaggio personale che si esprime attraverso tinte morbide, lievi stese con velature sottili . Il “poeta del paesaggio italiano” così lo hanno definito sia per gli scenari nei quali ambienta il suo racconto, sia per la sensibilità al colore e alle atmosfere tipico della grande pittura veneta
La Pietà (o Cristo morto sorretto da Maria e Giovanni) che andremo a conoscere è un dipinto eseguito a tempera su tavola (86×107 cm) databile tra il 1465 e il 1470 circa. L’opera conclude la fase giovanile di Bellini che sempre più inizia a subile l’influenza del cognato Andrea Mantegna dal quale apprende l’impostazione scultorea dei corpi e la minuzia nei particolari.
Bellini riesce a dipingere i sentimenti, umani e divini. Qui in particolare si coglie il grande dolore negli sguardi dei personaggi . E’ una sofferenza non urlata ma composta e come da consuetudine del maestro, concentrata nel gesto e nell’intensità dei volti.
La figura del Cristo deposto dalla croce e ormai morto, è al centro del dipinto, sorretto a sinistra dalla Madre: il suo viso, dai lineamenti tesi e induriti dal dolore, sfiora quello del figlio. A destra di Gesù, poco più distaccato, san Giovanni Evangelista che con una mano appoggiata al fianco lo sostiene mentre Il suo sguardo è perso nel vuoto in un’espressione costernata.
In primo piano una balaustra divide le tre figure sacre del dipinto (a grandezza naturale) dall’osservatore. Qui poggia la mano sinistra di Gesù lacerata dai chiodi e poco più sotto, al centro risalta l’iscrizione ispirata a un’elegia del poeta latino Properzio che recita: HAEC FERE QVVM GEMITVS TVRGENTIA LVMINA PROMANT / BELLINI POTERAT FLERE IOANNIS OPVS, “Se questi occhi gonfi di pianto quasi emettono gemiti, così potrebbe piangere l’opera di Giovanni Bellini”.
Lo sguardo di chi contempla questo dipinto si perde nei volti, per poi posarsi sul viso di Maria che diventa tutt’uno con quello del Figlio. Non c’è più vita in lui; ma in quell’ultimo abbraccio di madre pare voglia ascoltare, sentire ancora… il soffio di un ultimo respiro .
E’ impossibile non sentire lo strazio che rompe il silenzio e immedesimarsi nella sua sofferenza e nel pianto.
E. Farioli